«Viviamo murati in questa prigione d’amianto». Il signor Nino s’aggira sperso nel deserto di Fondo Fucile. C’è chi compare all’improvviso, con il suo cane da portare a spasso. Chi rientra velocemente con le buste della spesa. Ci sono volontari che scaricano pacchi con generi alimentari da distribuire alle tante famiglie bisognose. Anche questa è Messina, ai tempi del coronavirus. Durante l’ultima puntata di “Scirocco”, il talk del venerdì sera in onda su Rtp, alla domanda di Emilio Pintaldi su quanto fosse potenzialmente grave la situazione delle baraccopoli messinesi, il presidente dell’Agenzia del Risanamento Marcello Scuria ha risposto così: «Già è grave vivere nelle baracche, è evidente che il rischio di contagio in queste condizioni è molto più alto che nel resto della città, mi auguro davvero che qui l’epidemia non dilaghi mai». E qui si sperimenta anche la contraddizione dell’invito a “restiamo tutti a casa”, perché va tradotto in “restiamo tutti in baracca”. Ed è ovvio che non si può non rispettare l’invito contenuto nei Dpcm e nelle ordinanze sindacali, però, è necessario riflettere sul dramma nel dramma, vissuto da migliaia di persone che non hanno una casa confortevole, che sono costrette anche alla convivenza forzata con più nuclei familiari dentro tuguri, con liquami a cielo aperto, topi, insetti e mucchi di rifiuti sparsi qua e là. Questa prolungata quarantena pesa per tutti, è un fardello che di giorno in giorno, sul piano economico-sociale e per i tanti aspetti psicologici ad esso connessi, si fa sempre più gravoso. Molti vorrebbero liberarsene, fare come se l’emergenza fosse finita. Ma non è così. Bisognerà avere ancora molta pazienza, ci si dovrà aiutare vicendevolmente. Ma per chi vive in baracca il peso è moltiplicato all’infinito ed è bene che il resto della cittadinanza lo comprenda. «Semu tanti vecchi», Nino ci accompagna lungo le viuzze vuote di un agglomerato di degrado e di disperazione che solo qualche mese addietro era tornato – come accade da decenni ormai a intervalli ciclici – sotto i riflettori della politica nazionale, con la visita di parlamentari (in testa la capogruppo di Forza Italia alla Camera Maria Stella Gelmini), dopo l’iniziativa assunta dalla deputata messinese Matilde Siracusano, seguita poi da un’altra proposta di legge firmata dall’on. Pietro Navarra. Era l’altroieri, sembra già una lontana era, quando si è chiesto un intervento normativo per sbloccare le procedure, per assegnare poteri speciali e per completare, con una dotazione finanziaria di almeno 60 milioni di euro, lo sbaraccamento a Messina. È arrivata la pandemia mondiale e ha azzerato tutto. Occorrerà, prima o poi, riaprire il fronte di battaglia, ma al momento la guerra è un’altra. E oggi qui, a Fondo Fucile, quello che chiede la gente è «aiutateci a evitare i contagi». Perché un’area così ristretta e popolata si esporrebbe inevitabilmente a trasformarsi in un vero e proprio focolaio. Per questo, Comune e A.Ris.Me stanno attivando tutti i controlli possibili, questa e altre zone sono particolarmente monitorate, ma i timori restano, almeno fino a quando l’emergenza non sarà superata. E nessuno può dire il come e il quando. «Semu tutti vecchi, stiamo male, chi ha problemi respiratori, chi ha anziani costretti a letto, chi ha bambini con disabilità, ci mancava il coronavirus...», e mentre il dialogo continua, passiamo davanti a una discarica a cielo aperto, che fa di ingresso alla baraccopoli. «Questo pacco è per quella famiglia», i volontari continuano la distribuzione. Passa una signora la cui mamma qualche giorno fa si è sentita male, febbre alta e tosse: «Abbiamo paura, tutti chi più o meno hanno patologie pregresse, la vita è più a rischio che altrove». Lo è già nei periodi normali, perché è in baracca che ci si ammala di asbestosi, non certo all’interno di lussuosi condomini o di palazzi del centro. E, dunque, che Dio la mandi buona, al signor Nino e a tutti coloro che vivono in queste terre di frontiera. Da qui è tutto. Aprile 2020, primo mese dell’era Covid-19, baraccopoli di Fondo Fucile, Messina, Italia, Europa.