La conferma della sentenza con qualche sconto di pena. È la richiesta dell’accusa nel processo d’appello dell’operazione antimafia «Beta», l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Messina su una cellula di Cosa nostra che aveva collegamenti con il clan Santapaola-Ercolano di Catania e che si stava radicando a Messina.
Un gruppo che sarebbe stato anche in grado di relazionarsi con professionisti locali. Il sostituto procuratore generale Maurizio Salomone, al termine di una requisitoria andata avanti per due udienze, ha chiesto alla Corte d’Appello di Messina, presieduta dal giudice Maria Celi, 19 condanne e di queste sono 14 conferme del verdetto di primo grado, e 5 modifiche di pena. Complessivamente circa un secolo di carcere.
L’indagine dei carabinieri del Ros era sfociata in un blitz del luglio 2017. Gli investigatori avevano puntato i riflettori su un’associazione mafiosa che sarebbe stata collegata al clan Santapaola-Ercolano di Catania, sovraordinata rispetto ai gruppi mafiosi operano in città e che avrebbe avuto rapporti con professionisti, imprenditori, titolari di società, funzionari pubblici.
La condanna a 9 mesi è stata chiesta per Mauro Guernieri, previa riqualificazione del reato, e un ritocco di pena anche per Vincenzo Romeo, mentre per Antonio Romeo ha chiesto 8 anni e 2 mesi e 20 giorni.
Per Antonio Lipari chiesti 9 mesi mentre per Salvatore Lipari chiesti 11 mesi. Per entrambi chiesta l’assoluzione con la formula «per non aver commesso il fatto» in relazione ad un capo d’imputazione. Infine per N.L., assolto dal reato associativo, chiesti 10 anni, 8 mesi e 20 giorni, in primo grado era stato condannato a 6 mesi. Per tutti gli altri è stata chiesta la conferma della sentenza.
Il processo di primo grado, in abbreviato, si era chiuso con 19 condanne e 2 assoluzioni. In particolare Vincenzo Romeo considerato figura di vertice del gruppo era stato condannato a 15 anni e 2 mesi mentre era stato condannato a 6 anni e 4 mesi con il riconoscimento dell’attenuante per la collaborazione Biagio Grasso, l’imprenditore che ha collaborato con i magistrati. A partire dalla prossima udienza la parola passa agli avvocati della difesa.
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