La vasta area che ospita la ditta Costa resta sotto sequestro e interdetta, e chissà per quanto lo resterà ancora. Impossibile accedervi, piantonata com’è dalle forze dell’ordine nell’arco delle ventiquattro ore. Cinque vite spezzate nell'esplosione della fabbrica di fuochi d'artificio a Barcellona Pozzo di Gotto, due le salme restituite alle famiglie, come ci ha riferito il procuratore capo della Repubblica, Emanuele Crescenti. Sono quelle di Venera Mazzeo, la 71enne moglie di Vito Costa, proprietario della fabbrica di giochi pirotecnici, e di Mohamed Taeher Mannai, 39enne tunisino alle dipendenze della ditta Bagnato, azienda di Merì chiamata dalla famiglia Costa a effettuare lavori di “isolamento” in alcune strutture all’interno delle quali si fabbricano i fuochi. La Procura - ricostruisce la Gazzetta del Sud in edicola - ha disposto l’esame e la comparazione del Dna per le altre tre vittime della tragedia di Femminamorta: Vito Mazzeo, Giovanni Testaverde e Fortunato Porcino. Non che vi siano dubbi circa l’identità, ma il passaggio è proceduralmente ineludibile. I corpi, dilaniati, sono pressoché irriconoscibili. Non ci sono ancora iscritti nel registro degli indagati: la Procura ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo plurimo aggravato e incendio colposo, intanto si procede con la complessa attività di bonifica.