Stromboli non è un vulcano su un’isola. A Stromboli il vulcano è l’isola. E l’isola è il vulcano. E «il vulcano fa solo il suo mestiere. Fa il vulcano». È questa la frase più ricorrente, tra chi all’ombra di quel vulcano - “Iddu” è il nome che gli viene dato per far contenti i turisti - ci è nato, ci è cresciuto, qualcuno se n’è innamorato a tal punto da non volerlo lasciare più.
Due esplosioni parossistiche - così vengono chiamati tecnicamente eventi come quelli del 3 luglio e del 28 agosto - così ravvicinate non si vedevano dagli anni ‘30. Ma per chi ha deciso di convivere con una così potente manifestazione della natura, persino questo può diventare normale.
Nell’isola - racconta il reportage pubblicato oggi sulla Gazzetta del Sud in edicola - oggi si respira calma, che per chi nell’isola vive e dell’isola vive, è diventata eccessiva. Il calo delle presenze si tocca con mano. L’aliscafo con cui approdiamo a Stromboli è pressoché vuoto, una decina di viaggiatori, compresi due operatori della protezione civile e un isolano. «Dalla nave stamattina sono sbarcati in tredici», osserva con fare rassegnato una ragazza che lavora al primo bar che si incontra al molo, avamposto che meglio di altri luoghi può decifrare un’estate drammaticamente diversa dalle altre.
Anna Silvestri è campana, gestisce insieme ad altri la ditta di escursioni in mare “Pippo” e sull’isola ci vive dal 1981. «Com’è la situazione? Lo vedete coi vostri occhi - ci dice, allargando le braccia -. Ce l’aspettavamo - aggiunge, a proposito delle esplosioni - ormai lo conosciamo (lui, il vulcano, ndc) e sentivamo in continuazione i suoi mormorii. Il vulcano fa quello che deve fare». Già, fa quello che deve fare.
«Certo, la “botta” del 3 luglio è stata forte davvero. Un colpo di cannone dietro le orecchie. E da quel giorno all’esplosione del 28 agosto avvertivamo che il vulcano continuava a essere vivace. Adesso dà il suo spettacolo, ma si è quasi ammutolito, è quieto». Anna, nel pensare a cosa va fatto, ci dice quello che gran parte degli isolani sostengono: «Ci vuole più informazione, la gente deve sapere che sta visitando un vulcano e deve sapere come comportarsi su un vulcano. Tutto qui».
E chi, meglio di una guida vulcanologica come Mario Pruiti, che da 32 anni scala lo Stromboli e ne conosce ogni sasso, può sapere come ci si comporta su un vulcano. E anche dei rischi che si corrono. «Il pomeriggio della prima esplosione - ci spiega - era prevista un'escursione ai crateri». Il che significa 300-400 persone lì, a pochi metri dalla bocca che quel giorno ha vomitato la sua potenza.
«L'attività era elevata, certo, ma nessuno poteva aspettarsi un parossisma di quella portata». Ma Mario ne parla con una consapevolezza che a un occhio superficiale potrebbe apparire fatalismo. «Su un vulcano tutto è raro e niente lo è, si dice che di un vulcano si sa tutto solo quando è spento. Ma siccome questo non è spento, è un vulcano attivo a condotto aperto, è imprevedibile». E sembra ancor più fatalista, Mario, quando aggiunge: «Già vivere tre parossismi in una vita è tanto, forse troppo. Al quarto significa che i rischi sono superiori ai benefici e la gente comincia ad andarsene». Però... «Però lo Stromboli con quattro parossismi è più sicuro delle strade di Londra dopo le undici di sera. Questo è un rischio diverso, ma c'è sempre. Il presidio? Non ti può aiutare, se non in caso di emergenza in corso. Ciò che può aiutare la popolazione è la conoscenza del territorio, il rispetto del territorio. E cambiare l'approccio al vulcano. Perché dal 1930 al 2003 si è sempre pensato ad un vulcano “buono” e ci si è dimenticati che il vulcano non è buono ma, come dice mia figlia che ha due anni, sputa lava e sputa sabbia. Il vulcano fa il suo mestiere. Quest'isola è abitata dal neolitico, non perché la gente fosse attratta dal fuoco ma per la sua posizione e la sua bellezza. Io dico sempre che è più quello che dà un vulcano di quello che si prende».
Il calo del turismo? «Il flusso turistico cambia in qualsiasi parte del mondo, un attentato porta l'economia giù, qui in qualche modo ha tenuto. La situazione è delicata ma non catastrofica. Bisogna ripartire cambiando i parametri di rapporto col vulcano. Senza fare allarmismi, bisogna essere rispettosi, tenere le distanze. Dire che tutto è tranquillo non va bene, ma ci vuole equilibrio. È un problema culturale, di approccio. Il problema dell'Italia è che prima si aspetta che piova e poi si dice “c’è stata l'alluvione”».
Del resto c’è chi, a “fuggire”, non c’ha mai pensato un attimo. Come Andrea Schiavetti, turista di Firenze, in vacanza a Ginostra, come da molti anni a questa parte, dal 20 luglio: «Non abbiamo mai avuto la tentazione di andar via. Il giorno dell’esplosione abbiamo sentito un grande boato, con una colonna di fumo che si è alzata improvvisamente. Stavamo cucinando, allora abbiamo chiuso il gas e ci siamo messi sotto un architrave. Abbiamo aspettato per vedere se cadesse qualcosa, non è caduto niente. Quindi dopo venti minuti abbiamo ricominciato a cucinare».
Il racconto di una giornata qualunque. E quando gli chiediamo perché da anni sceglie Ginostra per le sue vacanze, risponde: «Perché è un posto in cui si sta molto tranquilli, a parte qualche intemperanza del vulcano (lo dice sorridendo con onesta sfacciataggine, ndc). Ma è proprio questo a rendere Stromboli unica nel mondo».
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