Che «Stranizza d’amuri», il cinema. Beppe Fiorello e i suoi attori entusiasmano il pubblico di Messina
Il cinema non è morto, lo hanno dimostrato le moltissime persone che si sono ritrovate ad affollare le Multisala Apollo e Iris e l’auditorium Fasola di Messina. Un’onda lunga di affetto, ammirazione e gratitudine per il primo lungometraggio da regista di Giuseppe Fiorello, «Stranizza d’amuri», nelle sale cinematografiche da più di tre settimane. Fiorello è stato accolto con calorosi applausi. «Sono contento di vedere tutta questa gente perché al cinema una volta ci si innamorava, ci si fidanzava, e si deve tornare al cinema proprio per innamorarsi», ha detto alla sala gremita. Con lui anche i suoi giovani attori: oltre ai protagonisti del film Samuele Segreto (reduce dal talent show “Amici” di Maria De Filippi), palermitano, e Gabriele Pizzurro, romano, anche l’undicenne messinese Raffaele Simone Cordiano (Totò, nipote di uno dei due ragazzi) e la ragusana Anita Pomario. La storia, liberamente ispirata a un fatto di cronaca accaduto nel 1980 a Giarre, in provincia di Catania, è quella di due ragazzi adolescenti, Gianni (Segreto) e Nino (Pizzurro), che vivono un amore libero, spensierato. L’amore è proprio uno dei protagonisti di questo esordio cinematografico, come ha chiarito il regista stesso durante la presentazione: «Non volevo raccontare la storia d’amore tra due ragazzi, punto e basta. Volevo raccontare l’innamoramento tra due persone. Non volevo fare un film tematico, perché io penso che l’amore non sia un tema, e non è un tema neanche l’omosessualità, sono dei sentimenti. L’omosessualità è un sentimento, non è una scelta». E ha poi aggiunto: «L’amore non si deve dibattere, l’amore è indiscutibile. L’odio si deve discutere, casomai». Purtroppo la provincia in quegli anni non era disposta ad accettare il sentimento tra i due ragazzi, un amore che va oltre i pregiudizi, come quell’amore che supera la bruttezza della guerra raccontato proprio nel testo di “Stranizza d’amuri” di Franco Battiato, canzone da cui è tratto il titolo del film. Le scene sono state girate in diversi luoghi della Sicilia: Noto, Marzamemi, Pachino, Buscemi, Priolo, Ferla. Gli eventi si svolgono nell’estate del 1982 (la data è stata volutamente cambiata dal regista). Mentre l’Italia vive in un clima di festa per la vittoria ai mondiali di calcio, nel paese siciliano si consuma la tragedia che riguarda i due ragazzi, le loro famiglie (le struggenti Simona Malato e Fabrizia Sacchi nel ruolo delle madri di Gianni e di Nino) e la comunità intera. «Tutti abbiamo lavorato con grande passione, travolti da eventi straordinari che ci hanno messo i bastoni tra le ruote», ha raccontato Beppe Fiorello, spiegando che «la regia non è solo fare una bella inquadratura, un primo piano, un panorama o dirigere gli attori che recitano, è soprattutto risolvere i problemi quotidiani, ed è molto bello, molto divertente, anche quando il problema diventa opportunità». Gli spettatori, accompagnati per tutto il film dai colori intensi del mare e della terra siciliana, e dal canto delle cicale, scoprono che a tanta bellezza si contrappone la grettezza umana. Alla leggerezza dell’amore giovane, la pesantezza del pregiudizio, della condanna sociale. Da tale contrasto prende le mosse Fiorello per far conoscere e non far dimenticare il “delitto di Giarre”, ancora irrisolto – non è mai stato individuato un colpevole, anche se, inizialmente, si era costituito il nipote di uno dei due ragazzi, allora tredicenne (interpretato da Cordiano). I pregiudizi e lo spettro del pettegolezzo (il “curtigghiu”) possono essere davvero così radicati e duri a cedere persino davanti alla morte di due ragazzi? «Non ti so rispondere – ci ha risposto il regista – perché io mi sono liberamente ispirato a quel fatto di cronaca, ma non ho mai indagato su cosa pensasse il paese, cosa volessero in paese, ho letto ciò che scrivevano i cronisti e ho trovato una mia ispirazione, una mia visione, ho usato la mia fantasia. Non ho fatto un film di denuncia, ma un film poetico». La morte dei due protagonisti della vicenda reale, cristallizzata in quell’amore così puro, ha scosso le coscienze di molti e la risposta immediata alla brutalità di questa storia fu la nascita del primo collettivo per i diritti civili della comunità LGBT, “Fuori!”, e la fondazione, a Palermo, dell’Arcigay, diffusosi poi in tutta Italia. Da quel momento in poi sono stati fatti passi in avanti ma molti altri ancora restano da fare. Abbiamo chiesto ai quattro attori, di tre generazioni diverse (hanno dagli 11 ai 26 anni), come questo film può aiutare i ragazzi e le ragazze delle loro età. Per Segreto il film «aiuta a riflettere sul fatto che l’amore tra due persone non deve essere necessariamente inquadrato nei generi, classificato, ma due persone sono libere di amarsi in generale». «Ognuno è libero di amare chi vuole e non deve essere discriminato per questo» ha aggiunto il piccolo ma sagace Cordiano. Per Pizzurro «il film può aiutare gli altri ad ampliare la propria visione perché vedendo una semplice storia ci si può immedesimare di più, il cinema può aiutare più della politica a volte». Ha concluso Anita Pomario, che interpreta l’unica donna della storia che reagisce a un’aggressione sui due protagonisti, dicendoci che «il film fa risvegliare un sentimento di rivalsa, di voglia di andare avanti, di non ascoltare i giudizi. Si esce dal cinema non con la tristezza ma con il sorriso arrabbiato di chi vuol cambiare le cose».