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Messina, la Via del Ferro al Torino Film Fest

Approda a Torino il docufilm sostenuto anche dalla Fondazione Bonino Pulejo

Sullo sfondo c'è lo Stretto. E un uomo in mezzo ad un mare di sofferenza. Poi questo specchio d'acqua lentamente restituisce qualcosa di prezioso. Come se avesse un potere taumaturgico. E inizia tutto. Una rinascita. E piovono creature del mondo marino: polipi, cernie, pesci spada, cavallucci marini, e anche uno squalo di cinque metri che ha chiamato Pasqualina. Eterni. Fabio Pilato e il documentario “La Via del Ferro” è stato selezionato in concorso al Torino Film Festival e la magia si accende perché in Piemonte è approdato un film realizzato a Messina da una produzione peloritana fortemente incoraggiata dalla Fondazione Bonino-Pulejo e dalla Gazzetta del Sud.

Film corale

E il regista Francesco Cannavà lo dice in premessa: «Il nostro è davvero un film corale che ha visto la luce grazie a tutti coloro che hanno creduto in un progetto e soprattutto in una storia». E sullo schermo appare Fabio Pilato. Ma chi è Pilato? Un uomo che scopre probabilmente di avere due vite. La prima è quella di un imprenditore edile che ha una famiglia e vive sereno. Mentre la seconda inizia quando gli viene diagnosticata una forma di leucemia aggressiva e le notti insonni gli suggeriscono una via di fuga. «Questo documentario nasce per raccontare la mia storia e il tesoro custodito nello Stretto – racconta Fabio Pilato – perché ho scoperto che potevo rendere immortali i pesci una notte di 16 anni fa quando fui colpito dalla leucemia per la prima volta. Allora presi la mia barca, spensi il motore e mi feci in qualche modo rapire dall'energia che emanavano le correnti. All'alba raccolsi un sasso, cominciai a scolpirlo usando giravite e martello e venne fuori la cristallizzazione di un pensiero. La prima opera, che chiamo la numero 1, è in pietra, e porta ancora i segni dell'incompiutezza e dell'evoluzione che sarebbe venuta. Infatti, la pietra si scalfisce e ci voleva il ferro per rendere immortali i miei pesci». Ma era l'animo di Pilato che stava cambiando, perché il pescato in mano ad altri pescatori creò un turbinio di emozioni e quasi commozione verso quelle “creature morte”, che sembravano forse con la loro presenza far rimbombare le parole dei medici che gli avevano dato pochi mesi di vita. «Dal mare uscivo rigenerato, riuscivo a camminare senza bastone e mangiare qualcosa in più. Così ho deciso di scolpire il mare con il fuoco, sembra un paradosso, e adesso siamo arrivati a 22 opere. Ho raffigurato sempre con quella che io chiamo l'aura magica della malattia. Perché dal 2006 ci sono state altre ricadute e ho smesso di contare le sedute di chemioterapia e radioterapia. Di trapianti di midollo, invece, ne ho ricevuti due».

Fabbro d'arte

«In questi anni – prende le fila del racconto il regista Cannavà che ha sempre sognato il palcoscenico di Torino – il ferro è stata la terapia affiancata alle cure tradizionali e Fabio è diventato un fabbro d'arte, scoprendo un altro sé sconosciuto. Quando mi è stata raccontata questa storia da Arturo Morano, ideatore e produttore del film, mi sono reso conto che nella storia di Fabio trovavo quegli insegnamenti che attraverso il mio percorso di vita avevo nel frattempo compreso: cioè che l'essere umano non può vivere spezzando il rapporto simbiotico con la natura e, grazie a questo film, sono tornato all'origine del mio percorso, nello Stretto di Messina, in questo spazio fisico, ma anche metafisico, dove possiamo trovare la via verso la scoperta del nostro sé. Per questo abbiamo voluto che questo film fosse un dono di alcuni artisti alla città di Messina e a tutto il mondo. E la selezione al Torino Film Festival lo dimostra».

Il sogno del museo

Pilato non ha mai messo in vendita nessun pesce perché il suo è dono fatto all'umanità. Di notte li sogna e di giorno comincia a dargli forma. E oggi, che è diventato uno dei maestri forgiatori del ferro più conosciuti e apprezzati nel mondo, sconfiggendo il cancro tre volte, non si ferma. Oggi sta lottando contro la quarta recidiva applicando gli insegnamenti del ferro e sogna un grande Museo, anzi una grande “Casa dei pesci dello Stretto di Messina”, in cui si respiri arte: che unisca le sue creature e artisti del mondo. Il film è prodotto da Arturo Morano per Art Show e Renata Giuliano per 8 Road Film in collaborazione con Fondazione Bonino Pulejo e Sincromie. Nato da un’ idea di Arturo Morano è assistito da Sicilia Film commission. Regia e sceneggiatura di Francesco Cannavà. Soggetto di Christian Bisceglia e Francesco Cannavà. Il direttore della fotografia è Enrico Bellinghieri. Le musiche originali di Tony Canto. Il suono di Amitt Darimdur, mentre la voice over è stata registrata da Alessandro Magnisi per T records. Fotografo di scena Francesco Algeri e immagini di repertorio Gianmichele Iaria per Oloturia e Roberto De Domenico. Montaggio di Lorenzo Petracchi. Produzione esecutiva di Tiziana Lo Cascio e Maria Teresa Tringali. Assistente alla regia Vlada Parascheev. Seconda unità Alberto Ieracitano. Montaggio del suono e mix audio Gianluca Gasparrini, locandina e dossier Mario Caruso e Dcp Leonardo Siniscalco.

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