Riceviamo e pubblichiamo:
"E’ sabato mattina. Mhysa ha l’orologio biologico tarato alle 6.30 e si spera che almeno nel weekend anche lei senta l’esigenza di dormire un po’ di più. E invece eccola lì pronta dietro la nostra porta, a bussare e piangere smaniosa di uscire e per di più in anticipo di un’ora! Sembra essere più attiva del solito… e se vogliamo passare un fine settimana all’insegna del riposo è necessario sfiancarla con una corsetta nella sua location preferita: la spiaggia di Pace. Neanche il vento che da giorni sta sconquassando il litorale messinese può fermare l’irrequietudine giocosa di Mhysa, che ci riporta senza tregua tutti i bastoni che le lanciamo. A un certo punto però ci accorgiamo che dalla sua bocca pende quasi invisibile un filo da pesca, lungo all’incirca un metro. Temiamo subito che con la squisita esca Mhysa abbia inghiottito anche l’amo e decidiamo di portarla subito al pronto soccorso veterinario, dove, dopo i primi tentativi falliti di tirar via il filo manualmente e dunque le successive radiografie, il nostro timore diviene evidenza: un amo di due centimetri nello stomaco. Bisogna operarla d’urgenza.
Fortuna vuole che oltre ad essere una giocherellona Mhysa sia anche di buon appetito e la colazione non la salti mai. Centocinquanta grammi di croccantini impediscono che l’amo possa bucare le pareti dello stomaco. Il tempo però non è molto, bisogna operare prima che la digestione lo svuoti. Il nostro sabato si sta trasformando in un vero e proprio incubo. La scelta non è più se farsi una giornata di mare o andare a vedere l’eruzione dell’Etna, ma le ore in cui si attende l’arrivo dei chirurghi, i quali tardano ad arrivare (è sabato anche per loro e uno dei due ha anche gravi questioni famigliari), passano in apprensione a decidere se optare per l’operazione a cielo aperto o in endoscopia.
La prima è l’opzione più efficace, ma anche la più invasiva e potrebbe comportare varie complicanze post operatorie.
La seconda in teoria dovrebbe essere meno invasiva, ma anche meno sicura. C’è infatti una piccola probabilità che l’operazione non riesca e che si sia costretti a prolungare l’anestesia (con i rischi che questa comporta) ed operarla comunque a cielo aperto.
In questo clima ansiogeno, l’incosciente serenità di Mhysa è surreale.
E’ passato qualche giorno, da uno sportello della nostra auto spunta il musone ansimante della nostra Mhysa e dall’altro guizza la sua coda festosa, non vede l’ora di fiondarsi nell’ambulatorio veterinario. Forse è il suo modo di manifestare la sua riconoscenza verso quei medici che le hanno salvato la vita. L’intervento a cielo aperto è andato ottimamente. Ma è ovvio, i segni di essa sono evidenti: più o meno venti centimetri di punti di sutura.
Per fortuna la ferita di Mhysa sta guarendo in fretta, il veterinario alla visita di controllo è quasi stupito della rapidità della guarigione, la nottata è quasi passata.
Non è passata però l’indignazione verso il degrado delle nostre spiagge e verso l’irresponsabilità civile del singolo cittadino che è complice della negligenza delle amministrazioni locali. Oltre ai danni fisici e morali c’è anche il danno economico non indifferente, (il costo degli esami di laboratorio e radiografici, l’intervento, il ricovero e le cure domiciliari superano uno stipendio medio italiano) e viene quasi la voglia di provare citare in giudizio il comune.
Ma desistiamo subito, la vera causa persa qui è la rassegnazione in cui si è costretti kafkianamente a vivere.
E allora che questo episodio possa almeno servire come monito: non portate i vostri cani e i vostri bambini sulle nostre spiagge!"
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