Avrebbe festeggiato ottant’anni, il Professore. Due giorni fa non sarebbe stata una data qualsiasi per Franco Scoglio, indimenticato allenatore nato a Lipari in pieno secondo conflitto mondiale.
Il tecnico-psicologo
Era nato il 2 maggio 1941 e gran parte dei suoi anni li ha trascorsi a insegnare. Prima a scuola – era laureato in pedagogia –, poi per quarant’anni in un campo di calcio. Iniziò presto la carriera da allenatore dopo aver capito da giovane che non era nato per tirare calci a un pallone. Aveva il dono della comunicazione e fu uno dei primi tecnici-psicologi a lasciare il segno in campo.
Un istrionico in panchina
Franco Scoglio avrebbe festeggiato i suoi 80 anni... parlando di calcio. Se non allenava, si esibiva con la sua inconfondibile dialettica applicata al football. Un istrionico allenatore senza peli sulla lingua le cui squadre sapevano divertire come le sue conferenze stampa. Ad un giornalista, un bel giorno, disse: «Mi danno sempre dell’istrione, ma lei sa che faccia fa l’istrione?». Un mister accentratore che ha sempre messo la squadra davanti a tutto. Per i suoi giocatori, ancor prima dei suoi “bastardi”, si sarebbe buttato nel fuoco perché era troppo intelligente per capire che le sue fortune passavano da quello che riuscivano a dare in campo i giocatori: «Io non comando i miei calciatori, io li guido». Ed era un fuoriclasse – venti-trent’anni prima di Mourinho – a trasformare un blocco di giocatori in una macchina da guerra capace di giocarsela ad armi pari con le più forti.
Da Gioia Tauro, all'apogeo di Messina
Cominciò a vincere a Gioia Tauro, a Reggio – con i ragazzi – divenne il Professore, ma è a Messina, con una A sfiorata partendo dalla C1, che si trasformò in quella figura vincente e autorevole che gli avrebbe permesso di diventare uno dei più rivoluzionari mister di quegli anni. Fu lui, con la sua “zona sporca” e un calcio «fatto al 47 per cento di tecnica, al 30 di condizione fisica e al 23 di psicologia», a imporsi nell’era del cambiamento calcistico, contribuendo con i vari Galeone, Sacchi, Zeman e Catuzzi a portare una ventata di novità in un calcio troppo antico. Scoglio si sentiva un anticonformista del pallone: «Io non faccio poesia. Io verticalizzo», amava sostenere. Si sentiva un diverso della panchina «perché non frequento il gregge: il sistema ti porta all’alienazione». Non avrebbe mai potuto allenare la Juve, insomma, «e nemmeno Milan e Inter. Il Napoli sì». E al “San Paolo ci arrivò nell’ultima parte della sua carriera, dopo che si era fatto amare al Genoa a tal punto da tornare a Marassi per diventare uno degli allenatori più idolatrati della storia dei Grifoni: «Io al Genoa sono il miglior allenatore del mondo», ha spesso sostenuto.
Un capopopolo imbattibile
Si sentiva un capopopolo imbattibile perché amato da quella gente che in questi giorni ha ricordato su stampa e social perché quell’allenatore arrivato dalle Eolie fosse così speciale. Un autentico monumento a Genova come forse non lo è mai stato a Messina, città che gli ha intitolato il suo stadio – senza mai organizzare un’inaugurazione ufficiale – ma che nell’ultimo periodo ha vissuto con gelosia il suo amore per Genova e i colori rossoblù: «Morirò parlando del Genoa», disse quella maledetta sera del 3 ottobre 2005. Un mago anche in questa tragica profezia. Auguri, Professore