Si discute di antidoping all'Istituto italiano di Criminologia di Vibo Valentia, e l'ospite d'eccezione non può che essere Vincenzo Nibali, campione nel palmares, ma soprattutto nello stile di vita, all'interno dello sport che è maggiormente stato nell'occhio del ciclone per la “positività” di tanti atleti, più o meno noti. E proprio Vincenzo, che della “pulizia” e della lotta al doping è stato uno dei ciclisti più attivi durante la sua lunga carriera, per un giorno è salito in cattedra, in una lezione a distanza con gli studenti dell'Istituto italiano di Criminologia di Vibo Valentia, diretto dal professor Saverio Fortunato. Argomento del giorno, l'articolo 586 bis del codice penale, relativo all'utilizzo o somministrazione di farmaci o altre sostanze per alterare le prestazioni agonistiche. In compagnia dello Squalo, i professori Fausto Malucchi ed Elena Baldi, in una lezione che, nell'arco della sua durata, ha anche toccato singoli episodi nella storia del doping nel mondo del ciclismo, dai sette Tour de France vinti (e poi revocati) da Lance Armstrong, alla triste fine di Marco Pantani, fino al peculiare caso di Chris Froome, la cui vittoria alla Vuelta nel 2017 (con Nibali al secondo posto) non è stata revocata, nonostante l'accertata positività al salbutamolo del capitano del Team Sky. Accanto alle conseguenze penali del doping, analizzate durante la lezione, il capitano della Trek Segafredo ha raccontato le sue esperienze con i frequenti controlli a cui sono sottoposti i ciclisti. «Adesso - ha spiegato il campione messinese - in questi tempi di limitazioni dovute al coronavirus, non ci sono controlli, ma ci viene raccomandata sempre la massima attenzione a prodotti e farmaci, e a rimanere in costante contatto con i nostri team. Noi siamo gli sportivi più controllati, con controlli pre e post gara e anche a sorpresa; nelle grandi corse a tappe, le verifiche sono quotidiane, anche per le maglie più importanti. Per i controlli a sorpresa, poi, siamo tenuti ad aggiornare sempre il calendario dei nostri spostamenti, in modo da consentire ai medici della Wada, l'agenzia mondiale antidoping, di conoscere la nostra attuale posizione; se saltiamo un controllo, arriva la prima ammonizione, e alla terza c'è la squalifica. La svolta c'è stata dopo il caso Pantani e l'Operazione Puerto, e il ciclismo è stato il primo sport (successivamente imitato dagli altri, tranne che dal calcio) ad accettare questo stretto sistema di controllo, che all'inizio ci sembrava quasi da arresti domiciliari, ma adesso che ci siamo abituati sappiamo che grazie a tutto questo è possibile avere un ciclismo pulito. Oggi la maggior parte dei ciclisti è pulita, e io ne sono fiero». Diverse le domande cui è stato poi sottoposto Nibali, che ha anche allargato i possibili scenari della lotta al doping. «Nella mia carriera sono stato sottoposto a un migliaio circa di controlli antidoping, pre e post corsa, a sorpresa, anche due volte al giorno, dei quali conservo attentamente le ricevute, perché le inchieste e le squalifiche sono anche retroattive; ma penso sia arrivato il momento di regolarizzare i controlli anche sugli amatori e sui ragazzi ancor prima che entrino nel mondo dei Professionisti». Ma qual è il segreto o la forza che hanno fatto diventare Vincenzo Nibali il paladino e l'immagine del ciclismo pulito in tutto il mondo? La risposta ha le sue radici a Messina. «Sin dall'inizio della mia carriera - ha concluso Vincenzo Nibali - ho avvertito, forte, l'influenza della mia famiglia alle spalle: i miei mi hanno sempre detto di pensare soltanto a correre, e che qualsiasi risultato ottenessi, non aveva importanza. Questo mi ha dato grande sicurezza e stabilità, la forza di non prendere mai scorciatoie per arrivare al successo».