I 70 anni di Gazzetta del Sud, Beethoven e Tchaikovsky “giovani”. Un trionfo di armonia e di speranza
“Dopo il silenzio, ciò che meglio esprime l’inesprimibile è la Musica”. C’è un momento che chiunque frequenti sale da concerto ha imparato ad amare. È quello del silenzio in sala, quando l’inesprimibile si condensa in attesa, e lo spirito si dispone a mollare gli ormeggi, per raggiungere un altrove che trascende ogni contingenza. Il pensiero è di Aldous Huxley, romanziere e soprattutto grande filosofo pacifista. Ebbe la sfortuna di morire, roso da un cancro, il 22 novembre 1963, il giorno stesso in cui il mondo fu folgorato dall’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Semplice karma per i cacciatori di simboli, fonte di sincera pietas per chi lavora nella comunicazione: un grande uomo lascia la vita ma nessuno ci farà caso, notizie e pensieri saranno rivolti ad altro, irrimediabilmente. Destini incrociati, violenza, guerra, pace ovunque e da sempre inutilmente invocata. Abbiamo ascoltato parole alte, abbiamo celebrato l’orgoglio di essere parte di un flusso universale, testimoni e interpreti del tempo che ci tocca vivere, tra vertici di ineffabili bellezze e – l’attualità ci obbliga – abissi di profondi orrori. Poi si sono spente le voci, è calato il silenzio ed è iniziata la musica. Due grandi titoli dell’Ottocento romantico: musica di pace, musica pura, che rinuncia ad ogni tensione drammatica a favore di un diletto senza ombre. Il Concerto per violino in re maggiore di Tchaikovsky mette al centro l’uomo-interprete, il violino solista, e lo sfida al confronto con se stesso, respiro lirico al servizio del virtuosismo più impervio, dell’esplorazione dei propri limiti, fino al confine con l’impossibile. La Sinfonia n. 7 di Beethoven celebra l’Uomo in sé, e in essa uno dei massimi geni che l’umanità abbia conosciuto trasfonde come mai altrove il cimento del ritmo, l’anelito alla liberazione da ogni catena attraverso un vortice di danza, che null’altro è se non purissima gioia di vivere. L’Orchestra dell’Accademia della Scala è fatta di giovani e “suona” giovane. Lo si percepisce dalla vibrante tensione degli attacchi e dalla guizzante esuberanza degli archi, uniti a un colore che forse anche la fascinazione del nome suggerisce di definire “operistico”. David Coleman è un nome illustre della direzione d’orchestra, conosciuto nei maggiori teatri del mondo soprattutto per la storica collaborazione con il grande ballerino Rudolf Nureyev. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud