Messina, padre Di Stefano invia una lettera alla Speranza e la condivide con famiglie e giovani di Bordonaro
Una lettera alla Speranza, condivisa con le famiglie e i giovani del suo rione. Al Villaggio Padre Annibale di Bordonaro, il Natale profuma di prossimità e amicizia, di accoglienza e inclusione. Padre Giuseppe Di Stefano parroco della comunità Madonna delle Lacrime con le sue parole scritte, impresse nel cuore di ciascuno e di tutti, ha voluto augurare buon Natale così: "Cara speranza, suona strana una lettera che inizia così. Non so a quanti verrebbe in mente di scriverti, ma a me sì. Lo faccio per provare a trattenerti un po' tra le mie mani, anche se so che è impossibile: nessuno può farlo o semplicemente provarci, sarebbe come toglierti quello slancio che ti è proprio. Sei fragile e, soprattutto in questo tempo in cui infuriano venti impetuosi, è davvero difficile tenerti accesa. La tua tenera fiamma, sempre a rischio di spegnersi, come potrà resistere ancora accesa, in questo nostro mondo sferzato dalla guerra, segnato da sempre maggiori ingiustizie che ci dividono tra fortunati e sfortunati (e gli sfortunati sono sempre gli stessi e sempre più tali)? Sai, cara speranza, a volte anch’io fatico a credere in te e mi chiedo dove ti sia andata a cacciare. Abbiamo bisogno di te, speranza, tutti quanti. Per quanto ci ostiniamo a raccontarci un’altra storia, tutti abbiamo fame di te, come l’aria. Non vorremmo rassegnarci a questa morte lenta, a questa asfissia cui sembra siamo irreparabilmente condannati. L’abitudine e la rassegnazione sembrano aver preso il sopravvento. Non sappiamo più alzare in alto il nostro sguardo e ci accontentiamo di vivere a testa bassa, chini sul nostro piatto, sui nostri affari, sullo schermo dei nostri telefoni cellulari. Ci siamo assuefatti al male, all’ingiustizia che genera disparità e alimenta sacche di rabbia e di odio. Siamo abitati dal risentimento che ci cova dentro e siamo disposti a tutto pur di avere qualche istante di notorietà, una qualche occasione di rivalsa sull’indifferenza generale. Siamo incattiviti nel vero senso della parola, prigionieri di un male che ci opprime il cuore e spegne anche i più piccoli tentativi di insurrezione. Il nostro male si chiama rassegnazione ed è peggiore del male stesso che lo ha generato, perché ci priva della forza, dello slancio per combatterlo. Lo sappiamo: il male, come pure la paura dell’altro, del futuro, del nostro stesso limite, sembra avere più argomenti del bene e della fiducia. E l’unico modo per contrastarlo sei tu, cara speranza. Sembra folle e forse lo è anche, ma rispondere al male con la speranza equivale a dire che c’è differenza tra il male in sé e chi lo compie; che c’è sempre una possibilità di cambiamento, di redenzione anche per il peggiore tra gli uomini. Ecco perché tra le virtù, cara speranza, tu, per quanto piccola e fragile, sei quella più pericolosamente sovversiva. Contagiaci di te, speranza. Imprestaci i tuoi occhi per imparare a vedere negli ostacoli, nelle inevitabili battute di arresto e persino nelle cadute che sperimentiamo sul cammino, occasioni per misurarci con il nostro limite, ma anche per rialzarci da terra e ripartire con più slancio. Tu, che sei tradizionalmente rappresentata come un’ancora, ricordaci che nessuna tempesta, nessuna notte è infinita se la attraversiamo aggrappati gli uni agli altri. E alimenta il noi il coraggio e l’audacia perché torniamo a nutrire grandi sogni e a credere, a scommettere, nella possibilità di realizzarli. Ad aprirci al nuovo con rinnovata fiducia, a costruire ponti piuttosto che muri, a non temere le crisi e a lasciarcene provocare. A rimetterci in discussione alla luce dell'incontro con l'altro, senza mai rifugiarci nella rigidità e nella presunzione di bastare a noi stessi, consapevoli che, dietro ciò che percepiamo come rischi, sono spesso nascoste le più grandi occasioni. Cara speranza, in questa notte così diversa da tutte le altre eppure così uguale, ti immagino davanti alla mia finestra, sul cui davanzale ho l’abitudine di lasciare un lume acceso, una candela per ricordarmi di vegliare. Di risvegliare in me e chi mi sta accanto, i sogni e i desideri più grandi, addormentati da troppo tempo, stanchi di troppe delusioni, dimenticati chissà dove, in qualche cassetto del cuore. E mentre il mondo, avvolto dal silenzio, dorme ancora, aprirò la finestra di casa per lasciare entrare un po' di aria fresca, che spazzi via il tanfo di ogni chiusura e mi restituisca l’ebrezza dei brividi sulla pelle. Che mi ricordi che sono ancora vivo e finchè c’è vita ci sei tu, speranza. Che non è affatto vero quel detto popolare “chi di speranza vive disperato muore”, ma piuttosto è vero il contrario, perché senza speranza non possiamo vivere. E tu, cara speranza, nel freddo pungente di questa notte, stai ad aspettarmi alla finestra, come appostata, per tendermi un agguato e farmi trasalire ancora di gioia e di stupore. Sei laddove non mai avrei pensato di cercarti e di trovarti. Così vicina da poterti finalmente toccare e lasciarmi andare all’esperienza disarmante di un tuo abbraccio. E posso mettere i miei occhi dentro ai tuoi, così simili a quelli degli animali notturni che sanno bucare le tenebre più fitte e ritrovare la strada di casa. Ascoltare il suono della tua voce nel frignare insistente di un neonato, avvolto in fasce, che si acquieta solo succhiando il latte ai seni acerbi di una giovane madre inesperta. Il tuo volto è quello di un “cucciolo” d’uomo qualunque, tenero e fragile come un germoglio. Il tuo nome è balsamo ad ogni solitudine, compimento ad ogni promessa, calore di una presenza che osa sfidare persino la morte. Il tuo nome è Emmanule, Dio con noi".