“L'invenzione della Felicità”. Il titolo provvisorio già convince. Quel “non luogo definito”, ricercato sin da quando ci si arma di matita e fogli bianchi. L'idea che deve ancora prendere forma? Un libro illustrato dai fratelli Lelio e Claudio Naccari che hanno fatto dell'arte il loro tratto distintivo.
I ricordi
Ma riavvolgiamo il nastro. « A casa mia – racconta Lelio creativo, autore, performer, e attore – non si respirava arte, anzi credo di aver respirato ben altro. Per me l’arte è sempre stato un modo di vivere anziché sopravvivere, cercare di abitare qualcosa di più, trovare un respiro. Per questo riesco a chiamarla “Arte”, solo quando fa star bene, quando esorcizza paure e fa crescere, guarisce. Ha uno sfocio che va dal sociale, alla filosofia, alla psicologia, allo spirituale. Se non offre, o almeno aspira a offrire, un senso di “espansione”, la chiamo professione, magari creatività, ma non arte». E riaffiorano i sogni di piccino quando si dava sfogo alla fantasia. «Ricordo solo – continua – che disegnavo storie e personaggi sui banchi di scuola, e a casa coi miei fratelli inventavo mondi e avventure che vivevamo sul momento. Anziché avere un amico immaginario, noi ne avevamo molti, all’interno di una narrazione continua; interagivamo e parlavamo con queste creature immaginare come fossero esistenti e anche noi eravamo altro in quel mondo. Senza saperlo avevo l’attitudine di dar vita alla fantasia, di concretizzarla. Col tempo ho incontrato la scrittura, che è stato un altro modo per dar corpo alle ispirazioni con le parole».
Le ambizioni
Mentre il cosa voglio diventare da grande è stato di fatto un divenire: «Non credo di aver mai scelto ciò che volevo essere, – precisa –me ne sono accorto dopo guardandomi indietro. Ho seguito ciò che mi accendeva, a volte soffrendone. Possiamo scegliere sul momento, ma non sappiamo cosa la vita ci porterà a essere. Preferisco il verbo “fare” a “essere”. L’idea di essere una sola cosa specifica non mi piace. Ho iniziato col “copywriting” perché era un modo per fare una professione vera usando il mio amore per la parola creativa, cambiando spesso stile. Ma non mi entusiasmava comunicare solo per vendere, volevo essere utile. Alla recitazione mi sono avvicinato perché era un modo per vivere più vite e punti di vista. Ho unito tutto diventando drammaturgo, regista e interprete dei miei lavori». E si affacciano esempi. Troisi, Nuti, Moretti, Woody Allen sono essi stessi interpreti delle loro scritture e questo fa si, ricorda il messinese, che abbiano inventato ognuno un “genere” che è essere sé stessi e di cui ci ricordiamo. «Idealmente – spiega – vorrei tendessimo tutti a questa individuazione: assorbire stimoli sì, ma arrivare a fondarci come un unicum. Anche se essere inediti può far paura. Nei miei corsi più che formare professionisti desidero supportare le persone a diventare autrici di sé stesse. La tecnica l’apprendi in tanti modi, è più raro trovare la propria ispirazione».
Lelio oggi sperimenta con più arti e strumenti, e si accorge di cosa li accomuna: «Sono tutte forme di comunicazione, che usa per condividere ciò che ritiene bello e utile, con uno stile spesso anticonvenzionale. Esser fuori dagli schemi, del resto è molto utile in comunicazione. Peculiarità forse ereditata dal trauma di non sentirsi visto».
Il fratello Claudio
E Claudio? «Dice che sono stato io a invogliarlo a disegno, illustrazione e fumetto come professione. Non ricordo ma mi fido. Si è formato all’Accademia del Fumetto di Palermo, poi specializzato sempre più in “character-design” e ha collaborato con importanti studi di animazione, in Europa, Inghilterra e Irlanda, partecipando anche a produzioni per Netflix. Attualmente vive a Montepellier e continua la sua carriera da “free lance”». E i due talenti hanno pensato ad un’opera a fumetti per l’infanzia con l’obiettivo di accompagnare i bambini a esplorare integrazione, benessere ed equilibrio. In cerca di editore. «Il concetto di felicità, – precisa parlando per entrambi – o semplicemente il benessere, può apparire scontato, ma è un tema delicato di cui non ci si aiuta a occuparsi solo tardivamente, per necessità, quando magari siamo nei guai. Questo può portarci a nutrire la schiera di chi fatica a trovare equilibrio. Molti temi riguardanti l’equilibrio personale sono ancora un po’ tabù. Chi al mondo è a disagio spesso è più sensibile di chi non lo è. I media di rado offrono idee tridimensionali di come si possa pensare o comportarsi, limitandosi a dire chi ha ragione e chi ha torto, chi è sano e chi non lo è, mentre è tutto sfumato. A un certo non si sa più neanche come fare a conoscersi. Articolarlo in modo chiaro per i piccoli, cioè per tutti, è una missione che affrontiamo con parole, immagini, metafore e il potere coinvolgente dello storytelling. Quando ci capiscono i bambini, vuol dire che sappiamo davvero cosa stiamo dicendo, perché ci fanno continue domande e vogliono sapere il perché del perché. Con questo progetto vorremmo accompagnarli a far luce su qualcosa che ha ripercussioni su ogni aspetto della vita: il rapporto con noi stessi. È da questo che dipenderà se saremo buoni cittadini,mariti, padri... se potremo gestire relazioni salubri, amare ed essere appagati. Desideriamo introdurli all’idea di integrazione anche di ciò che vi è di doloroso, per andare oltre e risvegliare così talenti sopiti. “Cominciare da dentro” è una cosa che non arriva ancora a chiunque. Alcuni pensano che le priorità siano più spicciole ma ogni cosa discende da come siamo e come stiamo. Quando sei felice, entusiasta, catturi una miriade di opportunità e sfumature che prima ti erano invisibili». E tanti sono i progetti in cantiere: «Vorrei sviluppare ulteriormente l’aspetto della formazione – conclude – soprattutto ma non solo, dei giovani, per generare visioni nuove e originali. Creando, la sfida è unire due mondi, veicolare significati alti in modo fruibile, pop, che coinvolga anche chi non ha grandi strumenti. Fonderei un “Teatro popolare di ricerca”».
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