Messina, la mamma del bambino che ha avuto lesioni cerebrali: «Dylan ci ha insegnato ad amare»
«Dovevo proteggere mio figlio ma purtroppo non ci sono riuscita e sono rimasta a terra per ore. Avrebbero dovuto aiutarmi. Era il loro lavoro...». Il 18 novembre il suo piccolo spegnerà 10 candeline. Ma la sua esistenza è stata segnata nel 2014 quando tutto ha preso una brutta piega. Veronica La Camera è diventata mamma molto giovane. A vent'anni. E con il suo Daniele avevano caricato di tante aspettative la nascita del primogenito. Era un sogno ad occhi aperti coltivato sin da bambina, quello di diventare mamma e moglie, e tutto si è offuscato, per quello che è stato accertato come un “caso di malasanità”. Dylan era sano. Avrebbe voluto e dovuto camminare. Correre. Parlare. Mangiare autonomamente. Scalciare un pallone. Reclamare la paghetta settimanale. Sbagliare. Cadere. Chiedere il motorino all'età giusta per andare al centro. Ma ora paga le conseguenze di una «negligenza», che non può essere cancellata da nessun risarcimento. Le lesioni cerebrali permanenti di questo meraviglioso bambino che sorride alla vita sono state causate dalla mancanza di ossigeno perché a 8 settimane dal parto, una notte, in ospedale, la madre cadde e non fu soccorsa. E quella mamma oggi compostamente dice: «Riflettete e andare oltre». Perché in fondo la vita non ricapita due volte, purtroppo. «Sapevo che la notizia avrebbe suscitato rumore come sempre – racconta Veronica – e molti pensano che abbiamo vinto. Io, purtroppo, ho perso tutto di Dylan». O meglio, ha perso la cosiddetta “normalità”, perché, sia chiaro, «Dylan è vivo – continua la mamma – e felice di vivere perché non gli manca nulla, ma non è facile andare avanti perché il suo problema neurologico creato alla nascita per mancanza di ossigeno è implacabile. Va a peggiorare tutto , la sua respirazione con continue infezioni, il reflusso che dovrebbe essere aggiustato con l' intervento di “nissen” , e tante altre operazioni che purtroppo dovrà affrontare. Ma, al momento, stiamo cercando di fargli prendere più peso possibile perché vorremmo portarlo più “pienotto” per subire queste operazioni molto delicate per lui». Veronica raccoglie i pensieri, dosa le parole, e ripete come una cantilena che i soldi non possono colmare quello che ha vissuto, e ciò che il suo ragazzo vive. «Una vita degna è utopia – chiosa – e so solo che ogni giorno mi risveglio con un vuoto perché è impossibile darsi pace. Anche se indosso il sorriso migliore per tutti i miei figli. Angeli per Dylan». Ma il puzzle in realtà è molto più ricco perché la mamma coraggio che ha raccontato ciò che ha vissuto in un libro “A modo tuo”, scritto in collaborazione con Gaia Valeria Patierno. «Ho vissuto l'impossibile pur di dare speranza». Viaggi in lungo e in largo. Bratislava, Lecco, Roma, Bergamo, Napoli e Catania, Pavia e Genova: «Non basta – dice amaramente – un pezzo sul giornale per raccontare un vissuto. Ogni giorno bisogna reclamare un diritto negato e combattere per il superamento delle barriere architettoniche». Il desiderio adesso è uno, restituire il bene che la città di Messina ha dato a questa famiglia, con la raccolta che ha permesso di comprare una macchina speciale per il piccolo Dylan e che la Gazzetta ha seguito passo passo. «Nel nostro cuore – afferma Veronica con il marito Daniele –, c'è il desiderio di dire grazie in maniera concreta. Vogliamo sdebitarci con la nostra città e ci piacerebbe fare qualcosa per la terapia intensiva che potremmo concordare direttamente con i medici che vivono quotidianamente questa realtà e sanno cosa manca». Dylan oggi è cieco e affetto da tetraparesi spastica ma ci insegna tanto». La vicenda processuale sfociata nella sentenza del Tribunale di Messina è stata particolarmente coinvolgente anche per il difensore, non solo da un punto di vista giuridico ma anche umano. «Ho visto per la prima volta i genitori del bimbo – racconta il legale Trussardi – nel mio studio, a Bergamo, circa sette anno or sono. La loro decisione di rivolgersi ad un professionista estraneo alla città di Messina maturò grazie alla conoscenza con altri miei assistiti che avevano avuto tragiche esperienze simili in Lombardia. Mi parvero subito due giovanissimi genitori colpiti da un evento drammatico cui facevano fronte, comprensibilmente, con grande fatica psichica e materiale. Chiesta una consulenza preliminare al dott. Nava di Pavia e ottenutone il responso positivo in ordine alla responsabilità della struttura ospedaliera, iniziammo la causa civile scontrandoci immediatamente con la dura realtà del nostro sistema giudiziario: rinvii a ripetizione e un carosello continuo di giudici titolari del fascicolo». Non si contano, come rimarca il legale, le istanze di sollecito depositate per uscire da quella che sembrava una palude. «Anche nei genitori del piccolo – conclude il difensore – serpeggiava scoramento e sfiducia, fino a quando, finalmente, fu disposta una consulenza tecnica che diede esito positivo. Si trattava solo di una questione di tempo».