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Santo Stefano, Città della ceramica: quel giacimento a due passi dal mare che valeva oro

Scoperto nel 1985 in contrada Barche Grosse. I reperti sono adesso custoditi nello storico Palazzo Trabia

Nell’antichità, un giacimento di argilla costituiva una fortuna per il territorio. I manufatti di tale materia, infatti, una volta cotti venivano utilizzati per le esigenze quotidiane, dall’edilizia (mattoni e tegole) agli usi domestici (pentole, recipienti per acqua, olio e anche cereali) e per il loro trasporto spesso via mare. Il giacimento in questo sito costituiva l’oro per il paese impiantato dal Duca di Camastra nel 1683 dopo la rovinosa frana dell’antico insediamento situato a monte. Ma tale giacimento non è stato una scoperta degli stefanesi, in quanto è stato provato che veniva sfruttato già in periodo greco-romano, ossia 2000 anni fa.  La scoperta, nel 1985, da parte di uno studioso stefanese, docente di Storia dell’architettura, avvenne ad opera di un trattore impegnato a creare le fondamenta per la costruzione di un edificio dirimpetto ad una chiesetta situata ad un centinaio di metri dalla battigia in contrada Barche Grosse, ove attraccavano le grandi imbarcazioni per il trasporto della produzione via mare, considerata l’autostrada del tempo.
Lo scavo ha portato alla luce una enorme discarica ove venivano versati gli scarti dei manufatti degli insediamenti produttivi destinati a rifornire fiorenti centri urbani, fra cui i più vicini Halaesa (Tusa) e Kalacta (Caronia). Discarica riconosciuta tale per la presenza di oggetti fusi da fornace dove si creava una temperatura più elevata.
I manufatti prelevati in tale circostanza, quasi furtivamente, sono stati negli anni scorsi  oggetto di studio della Soprintendenza di Messina e possono ora essere fruibili dal visitatore nelle vetrine dell’Esposizione dei ritrovamenti archeologici dei Nebrodi, ospitata al piano terra dello storico Palazzo Trabia, sede del Museo della ceramica. Di pari passo, con la ricostruzione del paese, procedeva la produzione di manufatti di uso quotidiano domestico per passare successivamente al maiolicato. Il vero salto di qualità si ebbe proprio con l’applicazione dello smalto alla superficie delle mattonelle chiamate ambrogette, introdotta probabilmente da maestranze napoletane, che con le decorazioni policrome nobilitavano i pavimenti delle dimore dei nobili. Tali ambrogette del tempo, come in una esposizione permanente, si possono ammirare in quell’esiguo spazio del Cimitero Vecchio tutelato dalla Soprintendenza alle antichità di Messina, dove i sarcofagi, strutture fuori terra, sono rivestiti da mattonelle policrome dell’Ottocento. L’impulso determinante a che questo centro acquisisse l’appellativo di “Paese della ceramica” è da attribuire alla nascita, nel dopoguerra, della Scuola regionale per la ceramica poi divenuta Istituto d’arte per la ceramica, retto dall’allora direttore Ciro Michele Esposito, che ha dato il via alla formazione dei primi ceramisti fra cui maestri e anche artisti di una certa notorietà, che con il loro estro creativo offrono sul mercato una sempre più avanzata e ricercata varietà di prodotti, quasi sempre di arredamento. Ma proprio in merito all’Istituto d’arte,  un tempo  punto di riferimento, da quando è passato a Liceo artistico non mancano delle note negative: una minore attenzione all’indirizzo Ceramica, denominato ora  Design  Ceramica, e una maggiore attenzione agli  indirizzi aggiunti, quale Grafica, Moda, Arte figurativa e Linguistico. Basti pensare che all’indirizzo Design Ceramica mancano, nell’organico, le emblematiche e prestigiose figure del torniante e del formatore. Il quasi azzerato numero di iscrizioni  nell’indirizzo che avrebbe dovuto essere prevalente fa capire come va scemando la frequenza ai corsi superiori della formazione all’attività ceramica.
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