Dalla cucina al kayak: il messinese Eugenio Viviani e la scelta di lasciare il ristorante e vivere alle Eolie
«Mio padre diceva, scherzando, che se solo avesse immaginato che quel regalo avrebbe rappresentato il motivo per lasciare l’azienda di famiglia avrebbe fatto un dono diverso perché da siciliano vecchio stampo non credeva che avrebbe potuto funzionare un lavoro cosi particolare. E del resto in Italia siamo mosche bianche considerando che siamo solo in tre i professionisti del kayak da mare a vivere solo di questo». Dalla cucina a una vita con vista Eolie il passo è stato deciso ma soprattutto audace. Il cinquantenne Eugenio Viviani, messinese doc, è cresciuto respirando aria di buona cucina e antichi sapori, seguendo la rotta di papà Antonino che sullo Stretto aveva come regno uno dei ristoranti più conosciuti, “Il Gattopardo”. Poi, però, la passione verso il kayak ha fatto scattare qualcosa, una bella idea controcorrente, e a guardarlo viene da dire «mollo tutto e vado a vivere alle Eolie». Anche solo per un secondo: «Papà che ha fatto un po’ la storia di Messina – racconta – avrebbe voluto che portassi avanti la tradizione di famiglia, ma dentro di me sapevo che i miei desideri erano altri. Cercavo qualcosa che mi facesse vivere a contatto con la natura». E Il regalo che segnò un cammino lo fece proprio il genitore. Gli esami di terza media erano passati da poco e l’estate era la stagione aspettata con gioia. Eugenio, mentre gli altri a mare si godevano semplicemente il sole o discutevano sul bagnasciuga, scalpitava perché aveva disperato bisogno di un diversivo, di qualcosa che scacciasse la noia e frenasse sul nascere il brontolio: ed ecco materializzarsi il kayak, compagno di avventure dello Stretto e non solo. Che gli ha fatto sognare confini diversi da oltrepassare e rincorrere corsi di formazione e perfezionamento delle tecniche del kayak da mare che da noi non c’erano: «Il mare mi attirava – continua – e mi suggeriva nuove sfide. E così feci il giro della Sicilia: 44 giorni e 44 tappe, partendo da Torre Faro e passando anche da tutte le isole minori. Ci ho preso gusto. L’anno dopo, mi avventurai girando la Sardegna, partendo da Cagliari. E ancora la Corsica, il Peloponneso, la Grecia e le sue isole, la Crozia per 2 anni di seguito. Papà capì, assecondò ciò che volevo fare e mi accompagnò all’imbarco all’inizio di qualche bellissimo giro». Le vecchie certezze ereditate cominciarono a sgretolarsi come la vecchia vita e si affacciò proprio a Creta la voglia di scommettere su qualcosa che mancava alle Isole Eolie, il turismo in kayak, per far assaporare la bellezza della vita lenta e silenziosa scivolando sull’acqua. I primi anni sono stati veramente duri. L’oggi cinquantenne, che allora aveva 35 anni si è adattato come poteva dormendo in macchina e in roulotte prima di avere un tetto sopra la testa: «Parlo tre lingue, oltre all’italiano, – puntualizza – perché il turismo in kayak, agli stranieri, piace davvero tanto. Il francese l’ho imparato grazie a mia sorella Carmela andando in Francia, che lì ci vive, in inverno tra la prima e la seconda stagione alle Eolie, quando ho capito che i primi turisti erano transalpini. Sono partito dagli scogli di Vulcanello nella Baia di Levante, poi mi sono spostato alla Spiaggia delle Acque Calde. Vulcano è un posto meraviglioso, ma tutta la Sicilia è fantastica per pagaiare, comprese le Isole Pelagie, le Egadi e Pantelleria». Eugenio si ritiene felice: «Vivo a Vulcano da ben 16 anni e facciamo attività anche in bassa stagione sempre aggrappati a questo sogno – rimarca – e mi ritengo un uomo fortunato. Perché ho scelto di vivere così e se non ci avessi provato avrei avuto il rimorso tutta la vita, in fondo conoscevo le potenzialità di questo sport e del posto in cui ho messo radici alle Eolie dove insegno le tecniche del kayak da mare, mostro le gemme nascoste di queste splendide terre, accompagno allievi e turisti, tra le onde del mare, in meravigliose avventure, insegnando loro, soprattutto, il rispetto per l’ambiente che ci circonda. Insomma, dovevo dimostrare a papà che mi potevo giocare una carta diversa e una delle soddisfazioni più belle della mia vita, mentre lo dico mi viene la pelle d’oca, è stato quando lui è venuto a trovarmi dopo 2 anni che ero qua, e, seduto sulla spiaggia, mi osservava lavorare nel mio ufficio tutto Blu sotto il bel vulcano e alla fine ha commentato: “Hai fatto bene”. La sua benedizione ha chiuso in qualche modo un cerchio». Il terreno di “gioco” è grande fra Vulcano, Lipari, Salina, Stromboli e Panarea. Restano escluse Alicudi e Filicudi perché c’è tanta roccia e poca spiaggia ed è difficile fare attività lì. O meglio rendono complicati i momenti di relax o gli imbarchi e gli sbarchi nel contesto tanto dinamico del meteo delle Isole Eolie. E il messinese ormai vulcanaro nel Dna si è inventato tutto, anche i tour di più giorni, un misto tra bivacco e grigliate in spiaggia per onorare la famiglia di ristoratori mentre la sfida si accende ancor di più quando tutti chiudono i battenti non credendo ancora troppo nella destagionalizzazione del turismo che sarebbe un toccasana alle nostre latitudini. Per i giovani il consiglio è uno mentre appaiono come flashback le vite di tutti coloro che hanno scelto di essere felici e abbandonare un percorso precofenzionato, alcuni inventati, altri veri come ci suggerisce il percorso “estremo” ma felice di Christopher McCandless, che ha ispirato il capolavoro cinematografico di Sean Penn “Into the wild”: «Io non sono bravo a insegnare nulla. Ai ragazzi dico però di credere. I sogni funzionano solo se lavori sodo e solo il tempo ti darà ragione. Senza dubbio – conclude –, però ero sicuro di ciò che non volevo fare: una vita monotona. E questo ha tracciato la rotta».