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Viaggio nel vivaismo della fascia tirrenica messinese, manodopera locale e viabilità: i nodi del Milazzese

Nei terreni della Piana quasi esclusivamente lavoratori stranieri perfettamente integrati, mancano infrastrutture e servizi

Un eden baciato dal sole, sferzato dai venti, reso fertile dai suoi fiumi. È in questo territorio, erroneamente attribuito interamente alla città di Milazzo, per via del nome della sua Piana, ma in realtà ricadente anche in altri comuni, tra cui San Filippo del Mela, che nasce il vivaismo. In principio c’erano i vigneti, ma grazie all’ingegno di alcuni milazzesi doc, primo fra tutti l’imprenditore Giuseppe Zirilli Lucifero, le maestranze iniziarono a specializzarsi nella produzione di “barbatelle”, piccole piante di vite innestate su portinnesti americani. Col trascorrere degli anni, dal vivaismo vitivinicolo (tutt’ora esistente) si passò al florovivaismo. Cambiarono i prodotti (dalla vite ai fiori), restò la capacità di imporsi sul mercato mondiale. E oggi i “numeri” sono importanti, un traino per una economia che soffre l’ambiguità turismo-industria. Tra Milazzo e Barcellona, ci sono 180 aziende che, in circa 280 ettari di terreno producono, per il 60%, olivo ornamentale, per il 30%, piante verdi e da fiore e per il 10%, agrumi.
Un settore che rappresenta sicuramente uno dei punti di forza dell’economia cittadina ma che non “attira” i giovani. Sono pochi, infatti, i milazzesi che lavorano nel florovivaismo accettando le offerte occupazionali delle aziende. Aziende rappresentate in prevalenza da famiglie che, generazione dopo generazione, hanno saputo innovarsi e portare avanti il lavoro. E così viene alla luce che a a parte i proprietari, la manovalanza è interamente rappresentata dagli extracomunitari, come ci spiega Salvatore Gitto, vivaista che conosce bene la realtà di questo mestiere: «Manca una soglia di giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, che hanno scelto di studiare fuori o sono impiegati in altri lavori anche sul nostro territorio e che quindi non sono disponibili a lavorare nel settore florovivaistico. Dunque la manodopera si cerca altrove». Naturalmente, per questi giovani extracomunitari, è un’opportunità da prendere al volo, perché lavorare in queste aziende significa essere regolarizzati e avere il permesso di soggiorno, mandare soldi nel paese di origine e vivere una vita più dignitosa.
Di certo, però, il florovivaismo andrebbe attenzionato per quanto riguarda alcune peculiarità: una migliore viabilità è quella all’ordine del giorno ormai da anni. Come lo stesso Gitto fa notare, lo sviluppo che negli anni ha intrapreso il settore del vivaismo non è andato di pari passo con la crescita del contesto viario in cui esso si snoda. «Senza infrastrutture e servizi, il nostro comparto non avrà un futuro. Le opportunità di lavoro ci sono ma rischiamo di essere schiacciati dalla concorrenza. Ecco perché sottolineo la necessità che la politica dia risposte concrete soprattutto sui collegamenti», aggiunge Pippo Maimone, che ha guidato per lungo tempo il Consorzio dei vivaisti siciliani e che spera ancora che si possano creare le condizioni per lo sviluppo di una piattaforma in grado di rilanciare un settore «che pure ha delle potenzialità e un buon fatturato, ma che sino ad ora è stato poco considerato dalle Istituzioni».

Un altro aspetto da far risaltare è il lavoro svolto da questi imprenditori, le tecnologie, il rapporto con i Paesi esteri. Forse pochi a Milazzo conoscono questa realtà e sarebbe interessante aprire nuovi canali comunicativi, far conoscere il settore più da vicino, anche portando le scuole all’interno delle strutture, per far capire come nasce e si sviluppa un’azienda. Anche se da qualche anno l’Istituto agrario “Enzo Ferrari” di via Due Bagli sta dando ai giovani queste possibilità. Cinque ettari di terreno a disposizione di coloro che vogliono studiare la ... terra. Opportunità che vanno sfruttate.

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