«In Italia la vera pecca è che questa professionalità non venga riconosciuta. Siamo un po'gli unicorni del mondo dello spettacolo. E vi è una differenza enorme con Germania o Francia. Io comunque faccio ciò che mi piace. Papà del resto mi ha insegnato a vivere di curiosità. Ma mi chiedo come mai nel nostro Belpaese dove si respira cultura ovunque non si riesca a fare di più?».Un vulcano danzante. Aura Calarco, ballerina, classe 1996, parla con il linguaggio a lei più familiare. Radici e cuori sono a Messina, mentre a Firenze ha continuato a coltivare con amore il suo sogno quando sembrava chiuso per sempre, entrando a parte della compagnia Opus Ballet, una delle più note in Italia. E recentemente aprendosi al ruolo di coreografa ha vinto il Premio "Theodor Rawyler", con il progetto "Gea Culpa".
Le origini
Ma fluiamo per immagini lontane quando Aura bambina, con ostinazione, senza chiedere, cominciava a esercitarsi. Accendendo un fuoco che non si sarebbe consumato: « Avevo 4 anni e mezzo, – racconta – lo ricordo come se fosse ieri, iniziai seguendo mia sorella maggiore Silvia che si era iscritta a danza. Io volevo pure ma mi dissero che ero troppo piccola. La particolarità della scuola era dettata dal fatto che ogni lezione era aperta, i genitori potevano restare a guardare e così io nella saletta d'attesa mi facevo tutta la lezione da sola, tanto che poi anche l'insegnante si arrese. Poi un crescendo con la maestra Sofia Zanardi che mi ha fatto capire che se vuoi fare questo deve investire del tempo come se fosse un lavoro. E mi allenai a fare tutto, dalla classica alla contemporanea». Poi la dritta per fare l'accademia nazionale di danza a Roma e la classica audizione che Aura passò brillantemente: «A 14 anni mi sono trasferita nella capitale – continua –e quell'anno per sfiga o per fortuna arrivò il liceo coreutico, e quindi eravamo impegnati sia la mattina che il pomeriggio. Sono stati 2 anni complicati in una grande istituzione. Forse il mio cuore già chiamava il contemporaneo e comunque alcune dinamiche "old school" hanno fatto dire alla mia anima ribelle di interrompere questo percorso. Sono stata veramente male, riprendendo po' il cliché della ballerina e quindi poi sono tornata a casa, ho finito il liceo all'artistico per respirare in qualche modo arte e ripreso a ballare da Sofia fino a quando a 18 anni ho rifatto una valigia».
Nuove prospettive
L'idea di appendere le scarpette al chiodo non ha funzionato anche se la giovane chiese come regalo di maturità uno stage di danza invece del classico viaggio proprio per sancire questo addio: qui le prospettarono la possibilità di volare a Firenze e fare le audizioni per i corsi di formazione professionale: «Piansi di un pianto liberatorio – ricorda – e con una piccola borsa di studio aprì questo nuovo capitolo investendo sul ballo contemporaneo che è la mia vera passione perché riesci a usare il corpo davvero a 360 gradi. Con ricerca continua. Dopo il tirocinio del terzo anno fui scelta in compagnia dalla COB compagnia Opus Ballet confrontandomi con tanti coreografi e più visioni, una prerogativa di questa realtà. Un sodalizio che continua ancora oggi anche se ho avviato anche delle collaborazioni da freelance».E notizia fresca è la vincita del premio con una progetto portato avanti con una collega. La storia di Gea è un racconto interrotto, lo sliding doors l’incidente di percorso che porta a confrontarsi con un altro essere: una figura non troppo definita, un ipotetico sé rimasto ingabbiato. Da quel momento in poi si apre un limbo fatto di tempo e scelta, gabbia e libertà, limite e superamento. Il bivio senza segnaletica è:Scegliere di condividere con la propria parte errante una quotidianità sfacciata, accontentandosi di una realtà smezzata o uscire da questa catena di interruzioni e ritrovare la libertà?Sarà necessario abbandonarsi, rinascere completamente e ogni tanto con nostalgia pensare “wish you were here” per poi proseguire».
La realtà e il futuro
Un assolo che poi è diventato un duetto, che svela la storia di ognuno di noi mostrando la possibilità che abbiamo attraverso qualsiasi arte di poter andare incontro a tante piccole nuove nascite. La stessa che è stata pensata per Messina: «Fare qualcosa per la propria città è qualcosa che sentono in tanti. Ad agosto porterò a Messina il The Bunch, un noto festival, in cui giovani artisti internazionali e piccole città italiane si ascoltano e collaborano, per emergere, insieme, attraverso l'arte. Una festa in cui ballare, farsi domande e ascoltare. Un modo per affermare il valore e la necessità di stare insieme». E per il futuro il sogno è uno: «Non riesco a pensare alla mia vita lontano dalla danza. Mi piacerebbe lavorare dietro le quinte – si congeda raccogliendo i pensieri e restituendone qualcuno bello e nitido – facendo appassionare più persone a questo mondo bellissimo. E ascoltare le esigenze di chi lo sente nel sangue. Ascoltare? sì. mi riesce bene per il mio trascorso. Anche se ho abbandonato facoltà di Psicologia a cui mi ero iscritta».