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Femminicidi, "donne vittime due volte": a Messina le "parole giuste" contro la violenza di genere

Esperienze a confronto nel corso di formazione giornalistica promosso all'Università dal Cirs nell'ambito del Premio Celi

Le parole possono fare male: quelle sbagliate sono già violenza, o la possono precorrere. Quelle giuste la possono “lenire”, o meglio ancora prevenire. È stato il tema al centro dell’evento formativo promosso dal Cirs Casa Famiglia ETS e patrocinato dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, dal titolo “Violenza di genere e linguaggio: quando le parole giuste fanno prevenzione”. Promosso quale evento inaugurale della V edizione del Premio Adolfo Celi, l’incontro, moderato dalla giornalista RAI Antonella Gurrieri, si è tenuto al rettorato, ed è stato aperto dai saluti della rettrice, Giovanna Spatari, della presidente del Cirs, Maria Celeste Celi, e della consigliera OdG Sicilia Tiziana Caruso, giornalista della Gazzetta del Sud. Un confronto trasversale e ricco di esperienze diverse, introdotto dalla giornalista Marika Micalizzi, incentrato sulle “parole giuste” da usare per affrontare la violenza di genere, attraverso una informazione corretta e consapevole.

«Ringrazio il Cirs, che seguo sempre da vicino, e confermo l’impegno continuativo dell’Università, attraverso seminari e incontri volti a diffondere questa sensibilità sull’argomento» ha dichiarato Spatari. “Deleteria,” secondo Maria Celeste Celi e Tiziana Caruso, “la spettacolarizzazione” della notizia, che, peraltro, può indurre a fenomeni di emulazione in chi è già incline a commettere atti di violenza. «Il linguaggio si evolve e può involvere, quindi va fatta grande attenzione alle diverse sensibilità» ha aggiunto Antonella Gurrieri, facendo riferimento al “victim blaming”, la colpevolizzazione della vittima, che porta il o la giornalista a cercare una prospettiva diversa e “romanticizzata” quasi come per fornire delle attenuanti alle azioni dell’assassino, producendo la deriva della vittimizzazione secondaria: chi subisce la violenza subisce anche le conseguenze di una narrazione polarizzante, che spesso induce chi legge a trovare motivazioni “umane” al delitto commesso.

Tiziana Martorana, giornalista Rai e consigliera dell’OdG Sicilia, ha parlato di una giacca, quella dei giornalisti, «sovente tirata dal dovere di raccontare secondo le regole che ci siamo dati, da un lato, e, invece, la necessità di fare sensazione, dall’altro». Da qui, l’impegno dell’Ordine dei Giornalisti nella promozione di eventi di formazione, come quello organizzato dal Cirs, volti ad «offrire nuove occasioni di riflessione e autocritica rispetto al nostro lavoro». Sul tema "Il linguaggio di genere e le parole del rispetto: la prevenzione inizia a scuola" l'intervento di Natalia La Rosa, responsabile della GDS Academy e dell’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud, che ha descritto il progetto di lettura e scrittura patrocinato dall'OdG Sicilia e condotto con scuole e università di Sicilia e Calabria, lavorando con studentesse, studenti, docenti e dirigenti, per promuovere tra i giovani l'informazione di qualità e l'uso di un linguaggio “ampio”, rispettoso non solo delle differenze di genere, ma di tutte le diversità, ponendo le basi per relazioni serene e equilibrate, lontane dalla violenza.

Alessandro Cardente, presidente di Italia Forum, prima associazione a organizzare una manifestazione animata da uomini contro i femminicidi, nel suo intenso intervento ha ricordato i tratti ancora troppo intensi di un pervasiva cultura maschilista, spostando l’attenzione sul carnefice, l’unico vero colpevole nel femminicidio. E in una società ancora fortemente patriarcale, “la prevenzione deve partire dalle scuole,” ha ribadito il magistrato catanese Marcello Gennaro, che nel 2011 firmò la prima sentenza di condanna in Italia per femminicidio, quello di Stefania Noce, ripercorrendo il travaglio interiore che all'epoca precedette la compilazione del dispositivo. Un caso “già ampiamente suffragato da prove” e che poteva chiudersi tradizionalmente come “omicidio”, ma che invece fu dal magistrato qualificato come femminicidio proprio perché ne emerse pienamente la caratterizzazione: l'assassinio di una donna in quanto tale, per ciò che essa era, e che il partner voleva cancellare. La prof.ssa Carmela Mento, associata di Psicologia UNIME, ha parlato dell'urgenza di una “alfabetizzazione emotiva”, richiamando anche i meccanismi digitali che portano ad una scarna espressività, offrendo poi degli spunti più scientifici per tratteggiare anche i segni precursori di comportamenti che possono sfociare in violenza e ripercorrendo alcuni casi legati al revenge porn e alla superficialità con cui ci si espone sul web, subendone poi gravi conseguenze.

“Il romanticismo della violenza” e “la colpevolizzazione della vittima”, inquinano molte narrazioni contemporanee anche secondo Serena Bersani, presidente di GIULIA Giornaliste, l'associazione in prima linea nel "checking" sull'informazione italiana per evidenziarne modalità lesive dell'equilibrio di genere. Bersani ha esordito ricordando che per Treccani “femminicidio” è stata la parola del 2023, e ha "trafitto" il pubblico di professioniste e professionisti dell’informazione con una carrellata di schermate tratte da quotidiani e siti web, che in un modo o nell'altro hanno usato parole o foto deprecabili, dalla locuzione "baby squillo", oggetto di richiamo anche dall'Ordine, all'impiego di immagini fuorvianti delle donne uccise, tese a metterne in evidenza la sensualità (come nei casi di Simonetta Cesaroni e di Alessandra Matteuzzi).

«Non esistono mai due vittime in un caso di violenza sulle donne - ha ammonito Paola Ferazzoli, giornalista del programma RAI "Porta a Porta”, ricostruendo i tanti casi tragici affrontati incontrando le persone coinvolte - La vittima è una e una soltanto». «Un uomo che uccide una donna è solo un assassino - ha rimarcato - non è un fidanzatino, non è un bocconiano, non è un essere umano troppo geloso, stressato, depresso, o addirittura in preda ai famigerati raptus» ha aggiunto sottolineando poi come non si parli mai abbastanza dei figli delle donne vittime di violenza, la cui vita viene distrutta da gesti efferati che comportano spesso la perdita di entrambi i genitori nel modo più terribile: una uccisa e l'altro, assassino, in carcere.

Animato anche il dibattito, con l'accorato intervento del regista Stefano Reali, che ha presentato il lavoro “Shakespeare AEnigma” a Villa Cianciafara sempre nell'ambito del Premio: «La bellezza, che scaturisce dalla cultura, dalla letteratura e dall’arte, ci può educare all’empatia» ha detto. «Le parole giuste fanno realmente prevenzione» ha sottolineato infine Roberto Gueli, presidente dell'Ordine dei Giornalisti di Sicilia, intervenuto in conclusione per sottolineare l'impegno dell'ordine professionale nel promuovere un'informazione responsabile, e auspicando la produzione degli atti del convegno che potrebbe divenire un’iniziativa itinerante, da programmare anche in altre province.

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