«Tra qualche anno terminerò la pena che mi è rimasta e ho già in mente di avviare un'attività: una coltivazione di fragoline». Questa nuova impresa rappresenta non solo una speranza di rinascita economica, ma anche simbolica, coltivando il futuro con la stessa cura che dedico alla mia famiglia ». Da tossicodipendente a padre redento il passo è stato tortuoso e possibile grazie all'associazione "Overland". E doppie storie si intrecciano. Un uomo e le sue pene e una giovane messinese che ha dato voce alla sua anima turbolenta nella sua tesi di laurea. Ma procediamo per gradi.
Verso il baratro
Marco, nome di fantasia, oggi ha 39 anni e la caduta verso il baratro è piovuta in piena adolescenza quando i suoi genitori hanno deciso di mettere un punto al loro rapporto. Non senza screzi: «Sono nato a Messina – racconta – in un quartiere della zona Nord in una famiglia della media borghesia. E il peso più forte che ha segnato la mia infanzia è stata la separazione dei miei. Un evento che ha lasciato cicatrici profonde nel mio animo». Successivamente il primo approccio con le droghe, la marjuana prima e la cocaina dopo, che diventa una compagna quotidiana da mantenere commettendo furti. Cosa quasi inevitabile? Restare imbrigliato nelle maglie della giustizia venendo arrestato e condannato a tre mesi da scontare in una comunità per minorenni. Una pausa per la vecchia vita che riprende purtroppo tristemente uguale appena gli vengono concessi gli arresti domiciliari. Infatti, il giovane continua a frequentare spacciatori e malavitosi attratto dal falso mito di una vita agiata e senza pensieri. Ignorando che è solo un passo in più verso il fondo: «Senza tentennamenti posso dire – afferma pensando al passato – che non condivido più le scelte che allora facevo».
La svolta
Il salto verso la luce lo ha "suggerito" colei che sarebbe diventata sua moglie e soprattutto la nascita di sua figlia. Marco, ormai uomo, si rende conto che la droga aveva preso il controllo della sua esistenza, rendendolo schiavo: «Il cammino verso la redenzione non è stato immediato. Le porte del carcere si sono aperte altre volte così come altri centri di accoglienza terapeutica. E la svolta decisiva arriva con questa associazione messinese e con il percorso di recupero al rifugio Santa Eustochia di Larderia. Qui ho trovato davvero un'accoglienza priva di pregiudizi. La cosa bella è che non vedono chi ero stato, ma chi avrei potuto diventare ». E qui è avvenuto un altro piccolo evento perché l' uomo ha incrociato il volto della ventitreenne Ilaria Caprì, una studentessa unime che ha deciso di cristallizzare questa storia nella sua tesi di laurea che aveva come oggetto l'evoluzione dell'istituzione carceraria tra storia, legislazione e sociologia, da strumento di repressione a strumento di reinserimento sociale. E di fatto impegnarsi attivamente: « Sono una studentessa – sottolinea – iscritta al quarto anno di Giurisprudenza e mi sono laureata lo scorso anno in Scienze delle Investigazioni Private. La mia vita, però, non è fatta solo di studi giuridici. Sono anche una volontaria della cooperativa Overland. Mi occupo di reinserimento sociale di detenuti e tossico-dipendenti, partecipando anche ad attività di protezione civile, di cui sono componente, insieme al Presidente della stessa Overland, il mio caro amico Antonino Mandia, che mi ha dato l’opportunità di inserirmi in questa bellissima realtà facendomi sentire sempre come in una grande famiglia».
La passione
Una passione per l'esecuzione penale sbocciata tra i banchi universitari: «Un grazie lo dico a colei che è diventata la relatrice della mia tesi, la dottoressa Elena Militello. Sono stati proprio i suoi racconti circa il funzionamento delle carceri sia in Italia che all’estero, data la sua esperienza di ricerca di stampo internazionalistico, e le sue appassionanti lezioni sul tema dell’esecuzione penale e penitenziaria a far nascere in me l’intento di affrontare un tema delicato» E Marco è la testimonianza viva di chi cerca un riscatto: «Da questa storia profonda e forte – sottolinea –sono riuscita a comprendere una serie di cose molto importanti che, a mio avviso, dovrebbero stare a cuore a tutti. Il mondo penitenziario è fatto di sofferenze, voglia di riscatto, dolore, rabbia e a volte di richieste di aiuto magari poco ascoltate. Con questo non voglio dire che il carcere sia inutile o, peggio ancora, che andrebbe abolito; anzi l’esatto contrario, sono fermamente convinta che la privazione della libertà personale sia il prezzo da pagare per l’offesa commessa alla vittima e allo Stato, ma credo anche che sia importante analizzare le problematiche e le questioni inerenti questo delicato tema, perché solo così il carcere può effettivamente assolvere alla sua reale funzione di rieducazione. Se così non fosse si trasformerebbe questo istituto giuridico in un semplice strumento per incattivire ancor più l’animo di chi ha sbagliato».
L'insegnamento
E l'insegnamento è uno: «Il vissuto "del padre redento" mi ha insegnato che il carcere è fatto non solo di sbarre, di porte che si chiudono dietro le spalle, di echi di corridoi che spesso arrivano come pugni nello stomaco, ma è fatto anche di amicizie che possono nascere. Scoperta di talenti, riscoperta delle proprie passioni e ispirazioni». E Ilaria spera che ci sia un apertura verso questo mondo partendo dalle scuole, e lancia una proposta prima di congedarsi: « Sarebbe meraviglioso che i detenuti scrivessero delle “cronache delle sbarre”, – conclude – al fine di raccontare ai cittadini le piccole quotidianità di una vita sconosciuta e spesso incompresa».