Forniture, servizi, appalti. Non sono temi qualunque, all’Università di Messina, perché è da qui che si è scatenata la bufera che ha travolto l’ex rettore Salvatore Cuzzocrea, portando alle sue dimissioni e, in seguito, all’apertura di due inchieste giudiziarie. Una relativa agli acquisti effettuati per attività di ricerca, una per quelle che l’Anac, l’Autorità anticorruzione, ha definito «inadempienze e irregolarità negli appalti banditi dall’Università di Messina». Dalle carte di quelle inchieste, a prescindere da quale sarà l’esito, emerge un vulnus di fondo: la nebulosità delle regole e dei paletti entro cui muoversi. E non è certo un caso, anzi, è un segnale preciso, che la nuova governance dell’Ateneo, guidata dalla rettrice Giovanna Spatari, con uno dei primi atti importanti del mandato abbia voluto fissarli, quei paletti. Portando in Senato accademico e in Cda un regolamento «per l’affidamento di contratti di appalto di lavori, servizi e forniture sottosoglia comunitaria», che è nella sua fase istruttoria. Il regolamento, recita la bozza, «si propone di disciplinare con modalità uniformi i presupposti, le procedure, le attività e i criteri di scelta che i singoli centri di spesa dell’Ateneo sono tenuti a porre in essere per l’affidamento di contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea». L’elemento chiave è il principio di rotazione, in base al quale un operatore economico potrà ottenere più di un affidamento solo in condizioni particolari (ad esempio prima dovranno esserci almeno altri due affidamenti diversi o dovrà essere trascorso un anno da quello precedente). Si terrà conto anche del valore del singolo appalto affidato, visto che il regolamento prevede diverse fasce di valori sia per servizi e forniture (da mille a 215 mila euro) sia per lavori (si parte da 40 mila euro per arrivare fino a oltre un milione).