Sin da piccolo leggeva voracemente tutti i giornali che gli passavano tra le mani coltivando il sogno di vedere un giorno la sua firma. Poi crescendo ha percorso con tenacia i passi per raggiungere il suo obiettivo. Alan David Scifo, classe 1989, agrigentino, ex studente dell'ateneto messinese, incarna il giornalismo resistente del Sud che si fa strada nonostante tutto.
Cercando di portare alla ribalta temi scomodi come i disastri ambientali che stanno uccidendo la Sicilia tra immobilismo e la corruttela delle istituzioni. «Segnata la strada o la condanna, – racconta Alan – il mio primo articolo lo impressi su “Topolino” quando scrissi una lettera dicendo che nella villa comunale di Aragona c’era poco verde e pochi giochi. Crescendo ho poi continuato il percorso studiando “Scienze della Comunicazione” a Catania.
In seguito dopo una parentesi in Criminologia, brevissima, mi sono iscritto all'Università di Messina al corso “Metodi e linguaggi del giornalismo”, forse per fare un’altra tappa in Sicilia e perché facendo scuole di giornalismo fuori dalla mia terra avrei finito per fare un altro lavoro. Nella città dello Stretto ho conosciuto dei professori che mi hanno fatto scoprire tante sfaccettature del mondo giornalistico.
Uno fra tutti Francesco Pira con cui ho discusso anche la tesi di laurea». Dopo gli studi un biglietto per la capitale, non per inviare curriculum ma per andare a bussare alla porta del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari: «Il mio primo articolo – continua – è stato per la sezione inchieste di “Repubblica”, purtroppo però questo spazio ebbe vita breve. Dopo suonai al portone di “LiveSicilia”, il mio primo giornale, poi “La Sicilia”, il “Giornale di Sicilia” e “Repubblica-Palermo” con la voglia sempre di crescere.
“L'Espresso”? Ho proposto un lavoro sull'amianto nel Belice ottenendo la fiducia di Marco Damilano, allora direttore della glorioso settimanale». Da allora il giovane non si è più fermato, si è sempre più specializzato nelle inchieste e ha ricevuto anche le chiamate da TV8 che gli ha offerto una collaborazione per 2 stagioni per il programma “Ogni mattina”, poi quella di La 7 per “L'aria che Tira” e infine quella di Rai 2 per il programma “Ore14”: «Oggi vado avanti coltivando anche altre collaborazioni con diversi giornali che credono nel valore dell'approfondimento. Fare oggi giornalismo è come fare il calciatore, guadagni soltanto se giochi, sotto contratto, in serie A o in serie B, per il resto in Sicilia ci sono realtà molto difficili, tranne qualche eccezione, che rendono arduo muovere i primi passi in questo mondo a chi vuole fare questo lavoro e, soprattutto, tagliano le gambe immediatamente a chi ha il sogno di vivere di questo.
La cosa che fa più impressione è che c’è un mondo sommerso che regge in piedi diversi giornali, di cui nessuno parla e che vive nell’ombra». E grazie alla sua penna Alan ha cristallizzato ciò che succede anche nella provincia di Messina nel suo ultimo libro inchiesta “Se Colapesce si stancasse”, Navarra editore: «Questo lavoro – precisa – tratta del disastro, perché non ci sono altri termini, della Valle del Mela, dove si prega la Madonna affinché liberi il territorio dall’inquinamento del polo industriale che si staglia in un posto bellissimo che potrebbe vivere ancor di più delle sue bellezze e delle sue coltivazioni. E invece subisce anni di aria insalubre e danni alle persone per un polo industriale così vicino alle case da far impressione. Racconto le battaglie di padre Giuseppe Trifirò che si schiera contro le industrie, le vicende dei morti di tumore delle zone, cerco di raccontare un posto attraverso gli occhi di chi ci vive».
E per i giornalisti in erba il consiglio è uno: «A chi vuole fare questo lavoro consiglio di affrontarlo sapendo che solo alla lunga i sacrifici saranno ripagati, di puntare non sui giornali, ma su sé stessi, magari ritagliandosi uno spazio in un determinato settore di cui si parla poco o in cui ci si sente più pronti. I giornali sono in crisi economica, questo è chiaro, però bisogna dare sempre il massimo per raggiungere i risultati. Per il resto – conclude – vale il vecchio metodo che ho sempre fatto: uscire per strada, paese per paese, perché c’è sempre una storia che deve essere raccontata».
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