Quante volte, soprattutto i “millenials”, si sono sentiti raccontare il mito del “se nesci arrinesci”?
Più che un mito un invito, enfatizzato da un Nord Italia in pieno “boom” economico della Prima Repubblica e un Sud, specialmente nelle aree interne della Sicilia, ancora in piena “Questione” e sempre più spoglio dei propri figli. Ancora oggi il mito si fa strada tra stereotipi ed effettive mancanze che portano a puntare il dito ed alimentare la tendenza ad andare via. Ma c’è chi, andando controcorrente ed ignorando le classifiche, ha scelto di “emigrare” al Sud, nei Nebrodi, in quelle aree che rischiano, ancora oggi, di diventare un deserto. E cinque di loro hanno raccontato il perché di questa scelta alla “Gazzetta del Sud”.
Quel che non dicono le classifiche
Con un video sui social ha generato un grande dibattito Consuelo Damico che parla della sua storia e della voglia di abbattere gli stereotipi su quella che, ormai, è la sua terra. Classe 1987, figlia di un’emigrata degli anni ’70 del secolo scorso, è nata e cresciuta in un paese dell’hinterland milanese simile, per dimensioni e per spazi verdi, a S. Piero Patti, luogo in cui si è trasferita 6 anni fa ma che, secondo lei, è imparagonabile per qualità della vita. «Avevo un “indeterminato” da 10 anni, ben remunerato, come responsabile di un ristorante a 5 minuti dal centro di Milano, ma ho deciso di mollare tutto, anche una casa di proprietà, per ricominciare qui con il mio bimbo di 2 anni perché la città era diventata invivibile e non ci volevo più stare. Così ho caricato tutto su un container e sono partita».
Nei Nebrodi, dove veniva solo d’estate per trovare la nonna, Consuelo spiega le ragioni della sua scelta: «Milano non è quella che ti fanno credere. C’è molta criminalità, tant’è che ho dovuto rifare la serratura dell’auto 7 volte e dove vivevo hanno scassinato continuamente anche i box, mentre qui posso lasciare giocare mio figlio nella villetta comunale serenamente. Non capisco le classifiche sulla qualità della vita nelle province - continua parlando di un milanese non solo molto inquinato ma, spesso, poco curato -anche lì ci sono buche, strade pietose e i mezzi arrivano e non arrivano. E la sanità – asserisce - è uguale ormai ovunque».
Racconta di esperienze negative nei migliori ospedali lombardi e molto positive in Sicilia, poi la considerazione: «Credo che molti vanno via per un’idealizzazione del Nord, frutto degli anni del “boom”, e l’immagine di una Sicilia che, al tempo, aveva evidenti problemi. Online c’è chi scrive che è grato a Milano perché qui si può solo piangere in spiaggia, salvo ammettere di lavorare 60 ore a settimana per poter bilanciare. Non dico ad un giovane di non andare via, ma di farlo senza accontentarsi o per seguire la moda e - racconta con tristezza - non mi spiego perché allo “Sportello lavoro”, progetto patrocinato dal Comune di S. Piero Patti per cui ho collaborato, non si è presentato nessuno in 4 mesi di attesa nonostante ci fossero proposte di tutti i tipi, anche con vitto e alloggio pagato e stipendio da 1.800 euro al mese».
Consuelo oggi è organizzatrice di un importante festival nebroideo assieme a tanti amici che ci hanno creduto e continua ad incitare i giovani a rimanere: «Una regione senza persone è una regione senza servizi, e gli stessi che partono si lamentano che qua non ci sono servizi, ma credo che siamo nel punto in cui veramente possiamo rilanciarci. Vorrei che le persone tornassero ad amare la Sicilia come i loro predecessori. Ora si hanno più possibilità ma c’è meno amore. Se non aiuti nella risoluzione di un problema, se scappi o se fai finta di nulla, sei parte del problema».
La casetta a Sant’Angelo di Brolo
Mara Milanta, originaria di Varese, e Domenico Bruzzese, originario di Gioia Tauro ma trasferitosi in Lombardia a 18 anni, si sono conosciuti sul posto di lavoro al Nord in un centro di ricerca della Comunità Europea. È venuta a lei l’idea di trasferirsi nei Nebrodi, all’età di 30 anni, dopo esserci stata soltanto una volta in vacanza. «Era il 2006 quando dissi a Domenico: se vuoi venire seguimi, altrimenti vado da sola, ma alla fine lui ha ceduto ed è venuto con me (ride, ndc)». Giunti a Gliaca di Piraino lei ha cominciato a lavorare in un supermercato e, lui, come sommozzatore finché.
Dopo qualche anno di sacrifici sono riusciti a sposarsi e comprare una casetta di campagna a S. Angelo di Brolo. «Non solo amore per il luogo, ma qui abbiamo cominciato a vedere del potenziale»: dal produrre marmellate con i frutti dei loro alberi è nata l’idea di aprire un’azienda agricola. «Chiaro che all’inizio ci siamo dovuti un po’ adattare – spiegano riferendosi ai tempi più “lenti” e anche ad alcune anomalie sul lavoro – eppure abbiamo capito che anche questo poteva avere un senso. Fare un lavoro anche ben remunerato su, ma avere meno tempo, determina la tua vita». Domenico racconta che a frenarlo era la paura di non trovare lavoro. Invece anche lui lo ha trovato subito «semplicemente chiedendo ad un cantiere allestito per il ripascimento delle spiagge».
Nel raccontare la loro storia entrambi sottolineano: «Un posto così nel mondo è difficile trovarlo. Studiando il territorio è stato un continuo scoprire cose bellissime e ci dispiace che molti giovani si facciano trascinare dai pensieri negativi, luoghi comuni», come la mancanza di opportunità o la presenza della criminalità che, detto da loro, qui sembra non esistere. «Lavorare in campagna ci ha permesso di rallentare, diventare osservatori e dare anche il nostro piccolo contributo». Anche loro sostengono che, riguardo i trasporti, tra alti e bassi, il divario con il Nord si è assottigliato ed eventuali disagi al loro arrivo non erano un problema: «in ogni posto in cui vai ci sono regole non scritte. Su al Nord per percorrere pochi chilometri si perdono tanti minuti. È una vita che scorre inutilmente in quelle lamiere con le ruote».
«Col passare del tempo forse ci si rende conto di quanto meno sia importante avere 100 euro in più che potere godere delle piccole cose. Insomma su non te le godi proprio. Lavori per fare due vacanze l’anno, magari al Sud, ed essere tristissimo quando devi ripartire». Un divario che si sta riducendo in generale: «Anche qui ci sono delle eccellenze a livello lavorativo e - spiegano - anche in Lombardia prenotare una visita sanitaria è difficile. Qui con gli ospedali ci siamo trovati bene, nonostante quello che si dica». Ai giovani consigliano di fare esperienze anche fuori, per potersi confrontare, ma un certo punto chiedersi: «Cosa voglio di più? Realizzarmi soltanto magari dal punto di vista professionale o da quello della vita in generale?», con la consapevolezza che su ci sono ancora più opportunità lavorative e uno spirito di confronto e crescita che, purtroppo, i due coniugi qui non hanno riscontrato. «Cambiamenti, confronti, creano paura, disagio, ma col tempo e con il contributo di ognuno, anche questo aspetto potrà cambiare».
Dalla Francia a Sant’Agata
Stéphanie Di Luca, francese, 48 anni, è “migrata” a Sant’Agata Militello da Manosque, dove aveva un centro SPA ben avviato, nel settembre del 2020. «Ci lavoravo da 20 anni ma ho venduto tutto e comprato una casa immersa nel verde dei Nebrodi».
Figlia di un pirainese partito nel 1968 e mai più rientrato, Stéphanie aveva conosciuto questi luoghi in vacanza da piccola. «Per me è stato come un richiamo delle mie radici. Non ero felice in quella vita frenetica e tutti mi hanno preso per pazza ma mio figlio, che ora è in Australia, mi ha compreso».
Stéphanie spiega di aver voluto creare un centro olistico ristrutturando un vecchio rudere vicino alla sua abitazione: «Prima con 200 metri quadri disponibili lavoravo 12 ore al giorno, qui con poco spazio lavoro qualche ora e, anche se guadagno sei volte meno e ho dovuto fare “relationship” per promuovermi, cosa che detestavo, non tornerei per nulla al mondo alla vita di prima. Qui riesco ad essere sempre “zen” e avere cura di me stessa e degli altri». Oggi Stéphanie promuove percorsi benessere e terapie alternative cogliendo i benefici che possono regalare i Nebrodi e, commentando le celeberrime classifiche sulla qualità della vita, dice: «Non sono una matematica, ma sono emozionale. Ho scelto di seguire il mio istinto e con uno stipendio nella media vivo bene e penso di riuscire a coltivare i miei progetti. Non sono nemmeno coraggiosa - continua - dico che ci vuole coraggio a lasciare questo paradiso».
Stéphanie ha visitato tanti luoghi d’Italia e del mondo e anche se «è vero, qualche servizio andrebbe migliorato, qui si respira autenticità» e, citando la storia del colibrì che va spegnere da solo il fuoco in una foresta, asserisce «se ognuno facesse la sua parte migliorerebbero tante cose. Consiglio ai giovani di cogliere in profondità i frutti di una terra che offre davvero tutto tra clima, cultura, lingua e tantissime altre risorse che, se utilizzate, garantiscono un sicuro sostentamento, magari reinventando e riprendendo usanze ancestrali». Non critica a priori chi parte, «lottare è difficile e capisco la volontà di lasciare un luogo che non si sente nostro, perché l’ho fatto anch’io, ma ci dev’essere una motivazione concreta, un obiettivo». Consiglia quindi di viaggiare sin da giovani per conoscere altre realtà, fare esperienze, prima di andare via semplicemente dicendo «qui non c’è niente, e io non lo credo, e poi pensare che il Nord sia l’America». Esprimendo la sua opinione fa notare che i cittadini all’estero non pensano che in Sicilia non si stia bene e, anzi, immagina un futuro in cui tanti figli o nipoti di siciliani emigrati torneranno e troveranno tanto da fare perché «questo posto ha potenzialità enormi».
Da Milano a Caronia
Viviana Maiorana ha 27 anni, figlia di padre siciliano e di madre tedesca oggi vive a Caronia ma è cresciuta ed ha studiato a Milano. Anche lei ha deciso definitivamente di trasferirsi dopo il lockdown «ma creare qualcosa e poter vivere in Sicilia – afferma - è un mio desiderio sin dall’adolescenza».
Racconta quanto possa esser bello vivere un inverno “a maniche corte” ma anche dei numerosi “di sole e mare non si può vivere” o i “per te era facile iniziare” che si è sentita spesso enunciare, «ma chi può spesso non fa» commenta raccontando la sua storia. «Ho deciso quindi di studiare Scienze del turismo e fare esperienze all’estero per poter apprendere e imparare come sviluppare un territorio dal punto di vista turistico prima di intraprendere il grande passo in Sicilia», asserisce con la coscienza di chi sa quanto sia difficile fare impresa, specialmente in questa regione.
«Dopo un esordio lavorativo come consulente digitale mi sono dedicata, contemporaneamente, a scoprire le bellezze del nostro territorio che ha un enorme potenziale che andrebbe valorizzato». Oggi Viviana è attiva in un progetto di promozione turistica e territoriale attraverso l’inserimento di case abitate soltanto periodicamente dai proprietari in un circuito di affitto internazionale, incentivando il restauro e il mantenimento dei centri storici.
«Ho cominciato quasi per prova da sola, oggi invece anche i miei genitori sono parte attiva del progetto». Un’attività che nasce «da piccola quando vedevo questi borghi meravigliosi che stavano pian piano svuotandosi, e non volevo che accadesse». Spiega poi come in tanti, anche molti stranieri, desiderano vivere la genuinità e l’autenticità dei Nebrodi per mesi interi. Alla domanda sulle solite classifiche risponde con un’altra domanda, «Cosa intendiamo per qualità della vita? Ai miei coetanei dico di venire qui, che la possibilità c’è e i rischi e le sfide ci sono in ogni luogo, e questo va accettato».
Ragiona sulla circostanza che, spesso, si va via accettando un lavoro solo per soldi ma senza star realmente bene in grandi periferie poco attraenti o in stanze condivise, e poi palesa il suo pensiero: «Io credo che noi siamo dei nomadi, quindi è anche giusto spostarsi e ritornare, non solo per formarsi ma anche per riuscire a cogliere le opportunità e le bellezze del luogo in cui si è nati. Credo nella globalizzazione come un processo in divenire che porterà sviluppo».
La forte mobilità, a suo dire, contribuirà a far rivivere i paesini e porterà alla fine ad ulteriori investimenti e innovazioni, stimolando soprattutto i giovani. «I lavori digitali e, quindi, la possibilità di costruzioni coworking, assieme ad un ritorno all’artigianato e ai prodotti bio, segneranno un punto di svolta per il nostro territorio. Tutti possono, bisogna crederci e credere nelle potenzialità personali e del posto in cui si vive».
Il futuro... è qui
Storie e motivazioni eterogenee. Sono solo alcune di tante altre che affermano come oggi sia possibile “arrinesciri” anche qui, al Sud e sui Nebrodi, e pongono seri dubbi sull’esistenza del “gran divario”. Più che un capitale economico, andrebbe alimentato il capitale sociale, quello che è andato via e che continua a farlo. Esistono tante strade per il cambiamento. Sta a noi sceglierne una.
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