Messina

Sabato 23 Novembre 2024

Pegah Moshir Pour a Messina, viva la libertà di parlare e pretendere risposte. A colloquio con l'attivista italo-iraniana

Iraniana e italiana, cresciuta tra i racconti del Libro dei Re e i versi de La Divina Commedia. Un nome facile e un cognome difficile. Una bambina mediorientale arrivata in Basilicata negli anni degli attentati alle Twin Tower, una concentrazione di stereotipi in un corpo solo. Questa è Pegah Moshir Pour attraverso i suoi stessi occhi. Ieri è stata tra gli ospiti d’onore del Privacy Tour, il viaggio della consapevolezza partito giovedì proprio da Messina. Per parlare, dentro ad un teatro Vittorio Emanuele pieno di generazioni, di democrazia e privacy. Di quelle “autocrazie digitali in cui persino fare lo streamer è reato”, della “fortuna di non vivere in una dittatura, di poter dare per scontata la vita, questa vita, grazie a chi ha combattuto per farci state donne e uomini in una stessa sala, senza privarci della nostra stessa esistenza”. Lei attivista per passione. Lei voce dei ragazzi della terza cultura, impegnata nella lotta per i diritti umani e contro la violenza (psicologica, fisica) e le differenze di genere. Lei voce esterna di quelle che possono cambiare le percezioni. È vero, “noi qui in Europa possiamo essere lo specchio di quello che accade al di là. E un’attivista questo fa: attiva nelle persone il senso di responsabilità. Il governo ha una visione, il Terzo settore, la società civile, la scuola altre… e questa è ricchezza, così si crea un hub di prospettive. Saper ascoltare quanto poter parlare, questa è la democrazia”. Mentre il silenzio è il complice numero uno, il nemico che più facilmente il regime riesce a farsi amico… “In Iran si contano 18.000 intellettuali imprigionati, perché la parola è un'arma bianca, la più accessibile, la più negata. La Sicilia ce lo può insegnare. Il coraggio porta cambiamento. L’omertà è nemica del futuro. E noi del futuro abbiamo la responsabilità”. Dal palco di Sanremo (in un monologo-dialogo, bruciante ed agghiacciante con Drusilla Foer) avevi gridato la rivoluzione di “Donne, vita, libertà”. Ma in piazza, in Iran, c’erano anche gli uomini… “Mi rende orgogliosa che il popolo iraniano stia dimostrando al mondo che donne e uomini possono lottare insieme. Dal potere del voto in giù, la battaglia si fa uniti, la forza è lì”. Qualcuno potrebbe obiettare che le rivoluzioni si fanno da dentro, sul campo. Quanto conta invece portarla fuori, sconfinarla, sdoganarla, svelarla? “Il digitale ci ha permesso in tempo reale di vedere (attraverso video rubati alla censura, grazie al coraggio corale delle testimonianze) quel che accade in paesi come l’Iran. Il potere della divulgazione, la giusta diffusione, la corretta narrazione fanno il resto”. Per Pegah Moshhir Pour si sono pure aperte le porte del Parlamento Europeo, “che quest’anno ha assegnato il premio Sakharov alla famiglia di Mahsa Amini, la giovane iraniana uccisa nel 2022, che ha innescato il movimento”. Un gesto sociale dal valore politico per un continente che “è un insieme di diversità sotto lo stesso tetto, uno spazio in cui le ragazze possono vestirsi come vogliono e tornare a casa, pubblicare quel che desiderano senza essere arrestate. La nostra scelta qui è importante, tra poco saremo chiamati a decidere che volto dare alla nostra Unione Europea, se farne una democrazia di tutele o lasciarla a chissà quale deriva. Tra cyber guerre invisibili, tra dati rubati e venduti e un’educazione digitale in ritardo rispetto alla realtà di oggi: attenzione a chi diamo le chiavi di casa. È nostra responsabilità continuare a chiedere educazione e tutela, questa è cittadinanza digitale. È una chiamata all'azione”. Dunque? “Mai smettere di parlare. Di fare domande, di pretendere risposte. Viva la libertà!”

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