Il suo regno è la casa di Paradiso, borgo marinaro magico, seppur non valorizzato, mentre il giardino è diventato un museo a cielo aperto che potrebbe essere fruito dalla città in giornate studiate “ad hoc”. E pulsa la passione artistica civile dalle mani di Pasquale Marino, artista poliedrico, classe 1945, che ha scelto di identificare arte e vita mescolando pittura, grafica, scenografia , restauro e scultura. Come un percorso compiuto, anzi che matura trovando sempre slanci per esprimersi non disdegnando i progressi forniti dal digitale.
Gli studi a Reggio
«Sono nato a Reggio Calabria – racconta – in una famiglia monoreddito. Dopo la licenza media pregai i miei genitori di iscrivermi al liceo Artistico “Mattia Preti”. Era privato e aveva un “quid” in più rispetto al pubblico. I tempi non erano semplici ma assecondarono il mio desiderio. Il giorno dell'ammissione lo ricordo come se fosse ieri, la mia prova di acquarello la visionò il grande studioso e artista Alfonso Frangipani che mi disse che il lavoro era fatto bene ma aggiunse un appunto: «Non hai capito bene il verde delle ceramiche di Seminara”. Un invito a studiare, osservare attentamente, scoprire. Nello stesso periodo iniziò a germogliare l'amore per la scultura. Gli studi si conclusero in bellezza perché il giovane Marino partecipò al concorso nazionale del Giornale d'Italia rivolto a gli studenti dei licei artistici d' Italia primeggiando: «La mia scultura in gesso patinato “Giochi di basket” vinse la medaglia d'oro. Un’emozione indescrivibile. Fu il mio primo viaggio da solo e l'opera fu esposta al Palazzo dell'esposizione a Roma. I complimenti ricevuti a casa mi invitavano a fare sempre meglio. E anche quando partì per la leva non dimenticai di allenare la creatività. I momenti di pausa erano riempiti di significato con i disegni impressi su carta da mettere in valigia».
L'arrivo a Messina
Tornato a casa nella sua Reggio, Marino cominciò a parlare di un'umanità che si autodistrugge, e arrivò un lavoro che denuncia la follia della velocità che provoca l'incidente e l'annientamento della testa pensante che dovrebbe guidare l'uomo. «Negli anni '70 – prosegue – approdai a Messina seguendo mia moglie Rosaria conosciuta tra i banchi , o meglio i cavalletti, dell'Accademia delle belle arti e misi radici solide a Paradiso. Casa e studio sorgono qua. I miei lavori hanno assunto tonalità diverse ed è la luce che fa da padrona. E anche la Sicilia con “Iddu”, come i catanesi chiamano il maestoso Vulcano Etna, e i paesaggi urbani scoperti e immortalati con la mia Canon. E poi arrivarono anche le commissioni pubbliche. Possiamo ricordare le tele col Martirio di S. Agata per l’omonima chiesa del villaggio costiero messinese, i portali in bronzo, Porta della fede e Porta della eucaristia, per la chiesa del S. Cuore di Milazzo , le sculture bronzee all’interno della stessa chiesa, i bronzi del Monumento ai caduti di Venetico , i bronzi per i monumenti funebri al cimitero di Milazzo. Ne vado fiero, restano ai posteri».
Dalle tele alla scultura
Dopo un periodo mai di stasi, la mostra al Teatro Vittorio Emanuele, caldeggiata da Giuseppe La Motta e infine tra tante tele l'esplosione della scultura, nel 2020. «Una volta passeggiando a Scilla con il maestro pittore Giuseppe Marino incontrammo Corrado Calabrò, un poeta che faceva parte della Commissione quando vinsi il premio a Roma e mi rivelò che rimase stupito del fatto che non fossi esploso come scultore. Il momento arrivò con la pandemia. Ritrovai dei bozzetti chiusi in una carpetta e mi venne in mente che potevo dargli vita. I materiali li avevo in giardino, legni con un vissuto, pietre con una storia risalenti alcune al terremoto del 1908, altre al secondo conflitto mondiale. E altro che poteva servire a dare vita ad un sogno chiuso nel cassetto da tanti anni». Ed ecco “Lo specchio” in ferro ossidato, “La fecondità”, in legno, pietra e ferro, e “Doc” la ferita nata per celebrare l'impegno dei medici durante l'emergenza Covid e ancora “Tentacoli”. «Quest’opera in particolare mi soddisfa perché racconta alle giovani generazioni – precisa Marino – che la mafia ha tante facce e esiste anche la massoneria deviata e i colletti bianchi anche se spesso lo dimentichiamo ma mettono i loro tentacoli ovunque».
La speranza per i giovani
E il “paradiso delle sculture” è lì a interrogarci su arte, bellezza e senso della vita: «Sono stato insegnante per tanti anni e mi rammarica vedere che alle mostre vedo sempre i soliti. E forse noi stessi possiamo farci promotori di un'arte che non ha mercato ma ha tanti maestri che ancora restituiscono per immagini ciò che vedono. E io alla veneranda età di quasi ottant'anni sono pronto ad aprire il paradiso delle sculture nelle giornate Fai o agli studenti come già è successo». Un posto incontaminato dove l'anima ritrova pace. Un po’ come l' Eden. Un paradiso dello Stretto.