Una lettera speciale a Gesù Bambino in occasione degli 800 anni dal Presepe di Greccio, quella scritta dal parroco di Villaggio Padre Annibale al Santo Bordonaro don Giuseppe Di Stefano, una periferia sociale dove la parrocchia è presidio di inclusione, legalità, speranza, dove ogni giorno si realizza quella chiesa dalle porte aperte di cui parla Papa Francesco. "Caro Gesù Bambino, ti scrivo di mezzo a questo inverno che sembra non voler mai finire. C’è una coltre pesante su questo nostro vecchio mondo, uno strato di gelo difficile da scalfire e che sembra averci immobilizzato persino il cuore. Ci costa ammetterlo, ma il freddo e il gelo che hai sperimentato la notte che sei venuto al mondo, attanaglia ancora la terra come una morsa. In questo nostro tempo in cui tutto abbonda, siamo a corto di calore, di tenerezza; mentre il gelo dell’indifferenza la fa da padrone. Ti scrivo e non posso non sentire dentro di me, anch’io, lo stesso desiderio di Francesco d’Assisi di vedere, in qualche modo, con gli occhi del corpo, i disagi in cui ti sei trovato per la mancanza delle cose necessarie ad un neonato; come fosti adagiato in una greppia, sul fieno, tra un bue e un asinello. E non posso non ripetermi che quel giaciglio di fortuna, approntato alla meglio, non è posto per un bambino che viene al mondo. Quella mangiatoia sta lì a ricordarmi che, per te e per la tua famiglia, non si è trovato un posto dove stare. E così continua ad essere per tanti, troppi uomini e donne, confinati ai margini della società, scartati e massacrati dalla nostra fame e sete di possesso e di successo; sferzati e schiacciati sempre di più dal peso della nostra indifferenza. Aveva proprio ragione il poeta romano Trilussa quando scriveva: La gente fa er presepe e nun me sente; cerca de fallo più sfarzoso, però cià er core freddo e indifferente e nun capisce che senza l’amore è cianfrusaja che nun cià valore. Già, il presepe. Quanti ricordi, quanti buoni sentimenti suscita e fa venir fuori. Ma il rischio è che si riduca tutto ad una rievocazione ben architettata, ad un modo per acquietarci la coscienza e riportarci, nostalgici, a quando eravamo bambini e canticchiavamo dolci canzoni o ci impegnavamo a ripetere poesie e filastrocche davanti ai più grandi. Il presepe è la cornice, ma il protagonista sei tu, Gesù Bambino, che con la tua presenza, apparentemente inutile e fuori luogo, fai la differenza. Tu, che non sai fare altro che frignare. Tu, che tendi le braccia a chiunque, senza paura, senza selezionare, e ci fai venire voglia di chinarci sopra di te per prenderti in braccio e stringerti al petto. Tu ci ricordi che il primo gesto umano è proprio l’abbraccio, perché è proprio il sentirci mancanti e bisognosi di un altro che ci salva. Come i bambini, appena venuti al mondo, alzano le braccia quasi a cercare qualcuno. Come gli anziani che prima di morire, spesso alzano le braccia, desiderosi che qualcuno doni loro un po’ di calore e sazi la loro fame d’aria. E adesso, scusami Gesù Bambino se ti volto le spalle, ma sento che là fuori, in questa notte, qualcuno mi sta aspettando. Sono i ragazzini che, per divertirsi, non conoscono altro modo che vandalizzare quel poco che c’è e accendere un fuoco per sentirsi grandi e forse pure, per dire – a modo loro – quanto freddo hanno nel cuore. Loro, cresciuti troppo in fretta, sulla strada in cui vige la legge del forte. Loro, strafottenti e arrabbiati, cui dovremmo restituire soltanto un po’ di sana spensieratezza. Ed insieme con loro mi sento quasi chiamare per nome, dal borbottare insistente di pance rimaste troppo vuote in questa sera di festa, dalle lacrime silenziose di chi oggi fa Natale senza una persona cara, dalle urla soffocate di una donna che non ha il coraggio di scappare da un marito padrone che non perde occasione di insultarla e picchiarla. Vorrei poter essere accanto a chi si ritrova, in quest’ora di notte, a dover rimettere insieme i pezzi, a dover fare i conti con una malattia che non ti lascia scampo e il dolore lancinante di dover lasciare chi ancora avrebbe bisogno di quella presenza. E mentre giro le spalle al presepe allestito in chiesa, lo ritrovo ancora tra le strade semibuie e sporche di questo rione. E so che tu, Gesù Bambino, non sei rimasto lì tra le statuine di Maria, Giuseppe e i pastori; ma mi precedi e mi sospingi avanti, laddove qualcuno attende solo di essere abbracciato per non sprofondare nel buio o cerca una mano per rialzarsi, perché, pur mettendocela tutta, non basta mai. Tu sei lì, silenzioso compagno di chi era stanco di aspettare, di aspettarti, e prega solo che questa notte passi in fretta e che non faccia troppo male. Grazie, Bambino di Betlemme, volto autentico dell’amore che guarisce dall’odio e frantuma il gelo dell’indifferenza. Grazie, Emmanuele, perché per quanto possa allontanarmi, nascondermi arrabbiato e deluso, tu sai sempre dove trovarmi. Grazie, Gesù Signore, carne della nostra carne, nato per noi, nato tra noi. Grazie perché ci sei. Sei con noi, dalla nostra parte. E niente sarà più come prima".