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Barcellona, la vita di Monia all’insegna dell’inclusione

Nata da genitori tunisini, studentessa vicina alla laurea in Giurisprudenza, si sente figlia della «cultura di tre Paesi» e lotta contro i pregiudizi

Vivere esperienze durante gli sbarchi e avere colloqui faccia a faccia con sopravvissuti di torture, persecuzioni e violenze, «sono sempre esperienze che segnano. Perché spesso il male sembra appartenere alla storia passata o ai film, ma ce l’abbiamo davanti ai nostri occhi. Ciò che ho notato durante gli anni di lavoro è che la difficoltà ad affrontare la burocrazia italiana che hanno affrontato i miei genitori, ancora non è cambiata». Monia Ben R’houma, classe 1996, nata a Barcellona Pozzo di Gotto da genitori tunisini studentessa di Giurisprudenza, ad un passo dalla laurea, incarna quella bella gioventù che conosce benissimo il verbo fare. Appassionata dei temi di immigrazione, ha seguito vari corsi di formazione sull’immigrazione, incentrati sulla protezione speciale, i casi di vittime di tratta, lavorando poi in primissima linea come mediatrice culturale per varie organizzazioni, tra cui "Oim" e "Save the Children. Adesso, però, coltiva anche un sogno grande: tendere una mano a chi deve districarsi tra permessi di soggiorno e pratiche burocratiche.

Le radici

Ma riavvolgiamo il nastro all'indietro. Nella Sicilia di tanti anni fa, quando Monia era bambina: « Le mie radici? Sono certa di appartenere a più di tre Paesi e culture. La terra in cui "vivo" è quella che mi rappresenta di più. Essendo nata qui non ricordo di aver avuto difficoltà durante la mia infanzia, soprattutto perché non notavo le differenze. Crescendo, soprattutto durante l’adolescenza, iniziavano ad emergere alcune domande dovute alla formazione della mia identità, e lì le differenze iniziavano a palesarsi davanti ai miei occhi, come se vivessi in due mondi paralleli. Ma superata l’adolescenza tutte quelle divergenze mi sono sembrate più simili che mai, soprattutto dal punto di vista culturale. Di certo non è stato lo stesso per i miei genitori, papà cuoco per professione e mamma insegnante di lingua araba, perché la prima barriera che hanno dovuto affrontare è stata quella linguistica, ed è per questo che considero tutti i figli di seconda generazione dei mediatori nati ». Avere a che fare con la burocrazia italiana per un nativo italiano è già difficile, e i figli di seconda generazione sono cresciuti prematuramente negli uffici emigrazioni e questure cercando di tradurre i documenti senza sapere nemmeno perché: divenendo quella chiave che doveva aprire quella porta nel mare magnum della confusione. In una terra che doveva diventare quella della possibilità. «Ogni essere umano è sempre alla ricerca di una vita migliore, – ricorda la giovane –, la Storia ci insegna che tutti i popoli si sono sempre spostati sin dalle origini. Lo stesso per i miei genitori, avevano tanti sogni nel cassetto, la curiosità di conoscere un Paese nuovo e avere più opportunità. In Sicilia hanno trovato un nido accogliente, geograficamente e culturalmente vicino alla Tunisia. All’epoca dei fatti gli accordi bilaterali erano meno rigidi e i miei erano arrivati in Italia legalmente e in aereo, molto più sicuro rispetto a ciò che avviene oggigiorno».

Gli studi

E anche la scelta del corso di studi non è avvenuta a caso: «Ho scelto Giurisprudenza perché sono sempre stata in prima fila nel sociale e con tanta curiosità sui diritti umani e così ho voluto intraprendere questo percorso per poter, da un lato incoronare il sogno dei miei di dare un futuro migliore ai propri figli, farci studiare e avere un posto nel mondo, e dall’altro perché mi ha affascinato il modo in cui le leggi possono influenzare la vita delle persone. Dall'altro canto, conoscendo la storia di mamma e papà, ero all’oscuro della forma di immigrazione attuale, finché un giorno da volontaria della Croce Rossa ho prestato servizio durante uno sbarco a Messina. Quel momento mi ha cambiato la vita, ciò che avevo visto quel giorno era qualcosa che non mi ero riuscita ad immaginare prima e iniziando ad ascoltare le storie delle persone ho sentito il bisogno di approfondire e prestare aiuto».

L'idea

Ma è a Torino, quando la giovane si è trasferita per lavorare all'Oim, che è nata l'idea di aprire una pagina social che aiuta proprio i migranti. «Dopo l’esperienza negli uffici immigrazione – ricorda – ho notato quanto tempo si perda per poca chiara informazione su come prepararsi ad un appuntamento per il permesso di soggiorno. Tutti i giorni mi trovo a rispondere a domande di persone sui social e così ho pensato di creare una pagina Instagram che potrebbe sfociare in qualcosa di utile ed accessibile alle persone che affrontano ancora oggi queste difficoltà. La pagina attualmente è nuova e in work in progress. Si chiama “ Cultura Legale” e l’idea è quella di pubblicare post brevi in italiano semplice, inglese e francese (in futuro anche in arabo e spagnolo) su temi burocratici, legali, culturali e di attualità. E si rivolgerà sia a persone con background migratorio offrendo informazioni utili e pratici, sia agli utenti interessati a conoscere meglio il mondo dell’immigrazione e curiosità culturali per essere più inclusivi e informati».

Il progetto

I “feedback” sono positivi e questo incoraggia Monia a portare avanti questa iniziativa e l'idea sarebbe quella di diventare un punto di riferimento per collaborazioni e anche traduzioni. Un progetto che viaggia insomma sulle ali dell'entusiasmo come gli altri. «Adesso vivo tra Messina e la Germania e collaboro con un progetto sempre sull'immigrazione. Ci occupiamo di finanziamento di micro progetti proposti da organizzazioni o associazioni di migranti per dar loro la possibilità di sviluppare idee e renderle concrete e soprattutto essere indipendenti e rendersi attivi nella società. Il mio sogno è quello di poter – conclude – finire presto i miei studi e lavorare in modo più approfondito in tema di immigrazione e continuare guidata dalla mia passione per i diritti umani, la giustizia e la volontà di contribuire a una società più equa e inclusiva per tutti».

 

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