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Messina, Tripodi (Uil): lavoro “vero” e lotta alla povertà

I temi prioritari del XVIII Congresso provinciale della Uil di Messina che si svolge in una fase storica cruciale per i nostri territori, per la Sicilia e per l’intero Sud

Ivan Tripodi si dice preoccupato. Senza infingimenti, senza ipocrisie ma con la consapevolezza che questa fase storica o la si vive sapendo che alcuni treni stanno passando, e non tornano più, oppure si rischia di rimanere inchiodati alle proprie certezze che crollano, alla stazione delle occasioni perdute. Cinquantun anni, bancario (e anche giornalista pubblicista), padre della piccola Sveva (la gioia della sua vita), dal 2017 è il segretario generale della Uil di Messina. Ha raccolto un sindacato che attraversava un momento drammatico e ha saputo rilanciarlo. E oggi, nel giorno del Congresso provinciale, ripropone le sfide di sempre, aggiornate però al vertiginoso passo dei tempi, quelle per il lavoro, lo sviluppo, la lotta alla povertà, il sostegno alle fasce sociali e alle persone più fragili, un’unità sindacale che, però, deve sostanziarsi di contenuti, o altrimenti è solo una scatola vuota.

Tre anni tremendi, prima l’emergenza sanitaria, ora gli effetti di una guerra che è fin dentro l’Europa, e il conto più salato lo pagano, come sempre, i più deboli.
«Il tema principale di questo Congresso è proprio la lotta alla povertà. Una povertà che è paurosamente aumentata, alla crisi strutturale dei nostri territori si sono aggiunte le conseguenze devastanti di un periodo storico tragico. Noi guardiamo alle lavoratrici e ai lavoratori che hanno perso l’occupazione, giovani senza prospettive, i “neet”, che non studiano e non lavorano, i pensionati che non ce la fanno più a sostenere le famiglie, eppure devono farlo perché la loro pensione rappresenta l’unica fonte di reddito per figli e nipoti. Pensiamo alle famiglie monoreddito, al precariato, ai migranti, all’esercito degli “invisibili”. Noi queste situazioni le viviamo giorno per giorno, perché abbiamo l’onore di collaborare con la Comunità di Sant’Egidio che, come la Caritas diocesana e tanti movimenti e associazioni di volontariato, svolge un’opera meritoria. Chi va quotidianamente alla Mensa di Sant’Antonio, tocca con mano la drammaticità del problema».

Il tema dello sviluppo e del lavoro è strettamente connesso a quello dell’eliminazione delle sacche di disagio sociale sempre più diffuse.
«Il nostro territorio sta pagando prezzi altissimi, l’economia è ferma, le imprese non decollano, le persone sono costrette a cercare lavoro fuori. Vanno via tutti, l’Istat ha pubblicato dati agghiaccianti: nel decennio 2011-2020 oltre 34mila persone, di età compresa tra i 18 e i 39 anni, hanno lasciato la provincia e la città. La questione meridionale è sempre più attuale. Noi siamo stati e siamo fortemente critici nei confronti del Governo nazionale e della Regione siciliana, perché non hanno saputo affrontare i problemi dell’occupazione e del rilancio del Sud. L’Italia è indietro, la Spagna nello scorso mese di aprile ha toccato il record di contratti stabili, rischiamo di perdere anche l’opportunità straordinaria del Pnrr».

Lavoro, prima di ogni altra cosa. Ma quale lavoro? Come crearlo? Come renderlo produttivo e dignitoso per le persone? Come andare oltre l’era del “Reddito di cittadinanza”?
«Siamo preoccupati per questo. Il tessuto imprenditoriale messinese è stagnante, c’è un’intera economia in crisi profonda. I dati di InfoCamera sono impietosi e in questa situazione di profondo disfacimento, lo sfruttamento dei lavoratori, il lavoro nero, diventano prassi quotidiana. Per noi la creazione di lavoro vero va di pari passo con la lotta al lavoro nero, ma per far questo bisogna potenziare le strutture sul territorio. Noi abbiamo realizzato uno studio dal quale è emerso che, in considerazione del numero delle imprese della nostra provincia in rapporto con il numero degli ispettori del lavoro, di fatto, la possibilità di eseguire un’ispezione ha una probabilità temporale di una ogni 16 anni. Capite bene perché molte imprese la fanno franca e continuano a sfruttare il bisogno dei lavoratori».

Parlate anche spesso di dumping contrattuale
«C’è una vicenda emblematica, quella di una società collegata alla holding di stato, le Ferrovie. Mi riferisco ai 12 scioperi dei lavoratori di Blu Jet. Il dumping contrattuale, cioè la disparità di trattamento economico tra lavoratori, è iniquo e inaccettabile. E poi, lo dico con il massimo rispetto per gran parte della classe imprenditoriale messinese, ci sono quelli che io definisco i “prenditori”, non gli imprenditori. E non è un caso che lì dove ci sono violazioni plateali alle regole sull’applicazione dei contratti e alla concorrenza, si pone anche il problema drammatico della sicurezza sui posti di lavoro».

L’odierno Congresso ha una particolare dedica...
«Sì, è vero, abbiamo deciso di dedicarlo alla memoria di Salvatore Ada, che era uno dei delegati della Feneal Uil, una delle vittime delle “morti bianche”, caduto lo scorso mese di ottobre nel cantiere collegato ai lavori del viadotto Ritiro. Il suo sorriso contagioso era un toccasana per tutti noi...».

Perché ritenete che il Piano nazionale di ripresa e resilienza possa rivelarsi un fallimento?
«La parola Pnrr è sulla bocca di tutti, ma per ora non abbiamo visto fatti concreti, solo chiacchiere. La preoccupazione nasce dal fatto che in molti casi si stanno tirando fuori progetti che erano fermi nei cassetti da decenni e, dunque, mentre noi realizzeremo opere che avevano altre fonti di finanziamento, le altre regioni e città d’Italia utilizzeranno le risorse del Pnrr per rilanciare sviluppo e occupazione. Manca, a nostro avviso, una visione strategica condivisa, nessuno dice quale Messina vogliamo costruire nei prossimi decenni. E abbiamo il brutto esempio dei Patti e del Masterplan: neppure il 20 per cento delle risorse è stato utilizzato».

Avversate le grandi opere o credete che possano essere determinanti per il futuro di Messina e dell’area dello Stretto?
«Voglio essere chiaro su questo punto. Non siamo contrari al Ponte ma riteniamo che, a causa della politica, il Ponte sia stata finora l’ipoteca su Messina, che non ha consentito né di realizzare quell’opera né di imboccare altre strade. Al di là del collegamento stabile, la cui realizzazione, in ogni caso, avrebbe necessità di tempi lunghi, per noi oggi la priorità assoluta è completare il nuovo porto di Tremestieri. Anche su quel fronte non c’è da essere ottimisti, purtroppo, visto che finora è stato realizzato meno del 25 per cento dell’opera e abbiamo il timore che vi sia il rischio fondato di una rescissione contrattuale con la ditta appaltatrice. Non possiamo accettare che il porto di Tremestieri resti l’ennesima incompiuta».

Siete, dunque, molto critici nei confronti dei Governi centrali e locali?
«Sì, lo siamo. Del Governo Draghi contestiamo soprattutto la “trazione nordista”. La Giunta Musumeci non solo non ha risolto i problemi della Sicilia ma li ha aggravati, come dimostrano le vicende della sanità e dei rifiuti. Come è possibile respingere, ad esempio, un investimento di 450 milioni di euro che il gruppo A2A avrebbe voluto e vorrebbe fare per la realizzazione dell’impianto “Forsu” nell’area di San Filippo del Mela? Sono scelte incomprensibili. E con l’Amministrazione uscente del Comune di Messina, non è un mistero che i rapporti siano stati conflittuali. Come potevamo accettare di essere stati definiti “un anfratto di marciume sociale”, solo perché esprimevamo dissenso su alcune scelte dell’ex sindaco De Luca?».

L’unità sindacale, la confederazione Uil-Cgil-Cisl, hanno ancora un senso?
«È un principio per noi inderogabile. Però, certo, l’unità va tradotta in contenuti condivisi, perché altrimenti è solo un contenitore vuoto. Il problema c’è, non lo neghiamo, ma i lavoratori ci chiedono di essere uniti».

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