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I soldi della P2: casinò, mafie e neofascismo. Tre omicidi, un filo conduttore

«Il libro è un anti-tweet, proprio per la ricerca approfondita e il tentativo di raccontare in dettaglio ogni cosa. E’ in controtendenza rispetto al pensiero mainstream dell’informazione dominante, per cui oggi bisogna solo solleticare l’attenzione dei lettori con vicende di gossip o storie intimistiche o vicende che, seppure riguardino efferati delitti, ma riguardino delitti che si muovono fuori dalla sfera di interessi di potentati».
A parlare all’AGI è Fabio Repici, autore con Antonella Beccaria e Mario Vaudano del libro «I soldi della P2. Sequestri casinò, mafie e neofascismo: la lunga scia che porta a Licio Gelli» (per i tipi di PaperFirst).

Il libro prende le mosse da tre omicidi eccellenti, quelli dei magistrati Vittorio Occorsio, Bruno Caccia e Giovanni Selis. Un libro che serve anche a raccontare le eversioni nel mondo «nero», filo che lega molti fatti. «A partire da Concutelli - spiega Antonella Beccaria -, sarebbe un filo di diversi colori. Concutelli ha ucciso Occorsio, ma lo ha ucciso non solo per l’attività di contrasto all’eversione neofascista e ad Ordine nuovo».
«Tutti e tre questi magistrati - spiega Repici - nell’ultimo periodo della loro vita e della loro attività di magistrati si stavano occupando delle stesse cose. Occorsio si stava occupando di sequestri di persona e del riciclaggio del denaro di quei sequestri di persona e nella sua indagine erano venuti fuori nomi che riguardavano il casinò Ruhl di Nizza che era stato acquistato, poco tempo prima, da un esponente della mafia corsa, Jean-Dominique Fratoni, con i soldi messigli materialmente a disposizione da Roberto Calvi e da Umberto Ortolani su mandato di Licio Gelli. Bruno Caccia, negli ultimi mesi di vita da procuratore di Torino, si stava occupando dell’ipotesi di riciclaggio del denaro e i sequestri di persona al Casinò di Saint Vincent e anche lì, emersero gli stessi nomi. Emerse il collegamento diretto - spiega - fra Jean-Dominique Fratoni e gli altri uomini del casinò di Nizza e i vertici del Casinò di Saint Vincent e tutti i soggetti che orbitavano intorno al casinò. Giovanni Selis, in qualità di pretore di Aosta, negli ultimi tempi si stava occupando di alcuni fascicoli per usura a carico dei due principali prestasoldi che stavano tra interno ed esterno della casa del gioco di Saint Vincent e che erano collegati alla dirigenza del Casinò, i cui nomi poi emergeranno nel processo sui casinò derivato dal cosiddetto blitz di San Martino, ma anche lì escono fuori gli stessi nomi. Addirittura quattro giorni dopo l’attentato con l’autobomba subito da Giovanni Selis, in pieno centro ad Aosta, nel quale rimase vivo per un puro miracolo, gli arrivò una telefonata a casa - ricevuta dalla moglie - una telefonata anonima di rivendicazione dell’autobomba e di ulteriori minacce e con la spiegazione che l’attentato era da ricollegare ai marsigliesi».
«I marsigliesi è un circuito mafioso che era quello di cui si occupava a Roma Vittorio Occorsio, la banda delle tre B - chiarisce Antonella Beccaria -, e che avevano compiuto importanti sequestri di persona. Ma il circuito integrava anche Jean-Dominique Fratoni, i boss mafiosi italiani che intanto erano entrati nella gestione dei casinò della Costa Azzurra oltre che del nord Italia».
«E il paradosso dei paradossi è che, la notte successiva alle perquisizioni della Procura di Caccia - spiega Repici -, sostanzialmente rovesciando come un calzino il casinò di Saint Vincent e sequestrando tutti i conti correnti del casinò e di tutti i soggetti che erano legati al casinò, bene la notte successiva all’hotel Bilia che è proiezione del Casinò di Sainvencant, chi si presenta? Il latitante Jean-Dominique Fratoni, evidentemente preoccupato in qualche modo di coordinarsi con gli italiani per ciò che la Procura di Caccia stava mettendo a rischio. Se si analizzano i documenti che noi abbiamo analizzato escono fuori gli stessi nomi».

Un libro «pieno» di documenti, consultabili nella parte finale. «Un archivio cartaceo che avevo conservato dagli anni ottanta in poi - commenta Mario Vaudano, magistrato in pensione, che ha indagato su alcuni fatti poi oggetto del libro -. Questo ha permesso di avere una precisione assoluta». Vaudano che racconta anche un fatto personale e poco piacevole. «Quando arrestai il generale Giudice ed il generale Lo Prete (nel cosiddetto "scandalo dei petroli, ndr), ho scoperto un appunto che ci fece comprendere come mia moglie fosse stata seguita e pedinata, insieme ai miei figli ed ovviamente a me». Perché quando si fa il proprio dovere, troppo spesso, si rischia in prima persona.

"Cose barcellonesi"

Ma nel volume si parla anche di "cose barcellonesi". Per esempio del ruolo avuto da Rosario Pio Cattafi in alcune "storie nere" del nostro Paese e non soltanto in Sicilia, oppure della vicenda della pistola che il costruttore Mario Imbesi fu costretto a portare... al Santuario di Tindari su invito dell'allora pm di Barcellona Olindo Canali, che stava indagando sull'omicidio di Beppe Alfano e la voleva "visionare".

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