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La Messina di Bazin nell'estate del 1891: "La più liberale tra le città siciliane"

Nella città nostra, Bazin dimorò quanto bastava per dedicarle non poche notevoli pagine. Più luci che ombre, nell’immagine di Messina che affiora nel suo Diario

Il grande viaggiatore Bazin si trattenne in città per diversi giorni

Romanziere “che conosceva già le prime soddisfazioni della celebrità”, Renè Bazin (Angers 1853- Parigi 1932) volle concludere viaggiando l’estate del 1891. S’imbarcò a Marsiglia il 23 agosto, il vapore lo portò prima a La Goletta e Tunisi, poi a Malta e quindi in Sicilia. Visitò Siracusa, Palermo, Monreale, Calatafimi, Segesta, Catania e Messina. Ripreso il mare, fu a Napoli il 29 settembre, giusto in tempo per godersi la festa di San Gennaro. Da Napoli, a malincuore rientrò a Parigi.

Egli visse la realtà siciliana “con intensità, e ce la restituì con estrema semplicità e con vividezza di dettagli” (P. Thomas). Quel mese trascorso vagando nei lidi mediterranei, lasciò in lui vaghe sensazioni e indelebili ricordi, che affidò poi alle splendide colorate pagine di Sicilia, “Bozzetti italiani“ (1893).

Nella città nostra, Bazin dimorò quanto bastava per dedicarle non poche notevoli pagine. Più luci che ombre, nell’immagine di Messina che affiora nel suo Diario. Sono pagine suggerite - citiamo ancor il biografo Thomas - da “sentimenti semplici, pervasi di un pacato realismo e aderenti alla realtà quotidiana senza sofisticazioni né enfasi”; specchio fedele del sentire e del vivere nella Messina del XIX secolo che volgeva al tramonto.

Comincia, Bazin, con l’accomunare Messina a Genova, ambedue “città di antico commercio marittimo e dal medesimo carattere di potenza e opulenza plebea”. Quanto ai messinesi, sono “un popolo incline al sogno e più o meno distaccato dall’azione”, che immaginò d’essere “padrone del commercio del mondo”. Alcune sue righe dicono gran bene. “La sua vita, la sua ragione d’essere e la sua bellezza, stanno nel porto, delimitato da una penisola a forma di mezzaluna difesa da un castello”. Egli giudica stupendo il paesaggio, e trasognato ammira lo Stretto che placidamente “scorre come un fiume”…

Ed eccolo, Bazin, impegnato in un vivace, e tutt’altro che banale, dialogo.

“A sentir gli Italiani”, rammenta il viaggiatore ad un messinese ben disposto, “i mariti di Messina sono ombrosi e i padri sorvegliano attentamente le proprie figlie. Dicono anche che gli uni e gli altri danno ben pochi ricevimenti. Che ne dice?”. Il messinese si difende: “Cosa vuole, è un’usanza tanto deplorevole quanto antica. Ed è originata prima di tutto da mancanza di tradizione, e non proprio da quella tal gelosia feroce che la gente ci attribuisce”. Lo scrittore, che sembra sicuro del fatto suo, insiste: “Siete rimasti ai sistemi antichi perché la vostra popolazione conta, credo, ottanta per cento di analfabeti. Ecco tutto!”. E il messinese: “Settanta per cento può bastare. E poiché lei è difficile da convincere, le ricorderò un tratto molto significativo della nostra storia. Che non riguarda solo Messina, ma riveste qui un carattere più probante, perché Messina, tra le città siciliane, è sempre stata una delle più liberali, delle più avanzate in politica: l’usanza del baciamano. Garibaldi, appena cacciati i Borbone dalla Sicilia, decretò l’abolizione del baciamano; nemmeno a Messina quel proclama ebbe successo.

E quest’antica usanza rimase”. Il viaggiatore non demorde: “Ma le coltivazioni di agrumi, a Messina sono meno abbondanti che in altre province…” E il messinese ridendo: “La vera patria dei frutti è quella dei capitali che li comprano. Se vogliamo, attiriamo a noi le arance di Aderno, di Paternò. Abbiamo il più bel porto d’Italia, sulla grande strada dell’Oriente, e filande di seta, stamperie di tessuti, varie ditte di cui una francese per l’esportazione delle mandorle e dei pistacchi. E soprattutto, caro signore, siamo i vicini più immediati della contrada giustamente chiamata il paradiso del vino, quella di Milazzo… Si informi: malgrado la concorrenza, malgrado svariate ingiustizie commesse nei nostri confronti dal governo italiano, la vecchia Messina non è decaduta”.

I due si salutano, ma le “indagini messinesi” vanno avanti. Bazin decide di visitare il Cimitero monumentale. Uno splendore. Non è ancora ultimato, ma quando lo sarà “Messina potrà parlare con orgoglio di quel giardino funebre costato milioni”. Lo intristiscono, però, le sepolture degli umili: “Laggiù in basso, a destra della collina, un campo coperto di croci nere tutte uguali. Neanche un nome, neanche una data”.

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