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Da Messina agli Usa salvando vite, Stefania Bramanti premiata in Florida

Stefania Bramanti

Il prossimo 21 febbraio una messinese andrà ad Orlando, in Florida, per ritirare il “George Santos Award”. Stefania Bramanti, 41 anni, si è aggiudicata il premio internazionale conferito dalla Società Americana di Trapianti di Midollo (Asct), per un articolo pubblicato dalla rivista scientifica “Biology and Bone Marrow Transplantation”, come miglior lavoro del 2019 attraverso il quale si spiega come superare la barriera della presenza di anticorpi anti-HLA del donatore nel paziente candidato a trapianto di cellule staminali aploidentiche con ciclofosfamide post-trapianto.

L'articolo descrive inoltre “il rischio di mancato attecchimento, scarsa funzione midollare e impatto sugli outcomes” che si può verificare in tale circostanza. Risultato frutto di un lungo lavoro di studio, applicazione, dedizione, umanità, pratica, in un impegno concreto che si traduce nel salvataggio di tante vite umane. Perlomeno, nel prezioso tentativo di riuscirci. Durante il congresso nazionale della Società Americana di Trapianto di midollo osseo riceverà una targa ma soprattutto il prestigioso encomio durante gli “Asct Awards e business meeting”. «A mio padre, è a lui che sarebbe incontenibilmente felice, che dedico questo premio», rivela.

Il percorso della Bramanti, laureata all'Università di Messina nella Facoltà di Medicina e Chirurgia nel 2002 con 110 e lode, è maturato all'Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, e nello specifico dall'idea di collaborare su un progetto di Trapianti di cellule staminali in ambito oncologico. Progetto che diventerà la sua tesi di laurea in “Immunoterapia e trapianto allogenico nei tumori solidi”. Così inizia un viaggio al di là dello Stretto con il pensiero che sia proprio l'immunoterapia e non la sola chemioterapia la strada per sconfiggere gran parte delle malattie oncoematologiche. Nel 2003 vince il concorso di Scuola in Ematologia all'Università di Milano “Policlinico” e si specializza nel trapianto di cellule staminali, autologhe e allogeniche per la cura di malattie ematoncologiche.

«Il trapianto allogenico è una forma di immunoterapia che sfrutta il sistema immunitario di un donatore sano per sconfiggere la malattia ematologica (leucemia, linfoma Hodgkin, linfoma non Hodgkin, mieloma multiplo) del paziente che non è più in grado di riconoscere le cellule maligne come un pericolo e quindi non le attacca più ma le lascia libere di crescere - spiega -. La barriera principale del trapianto allogenico per ciascun paziente è stata negli anni quella di identificare un donatore HLA compatibile. Molti pazienti rischiavano di morire aspettando un donatore. La probabilità di trovarne uno 100% identico sia dentro che fuori la famiglia è troppo bassa e non arriva per tutti nei tempi necessari».

Così la strada che Stefania segue è quella di collaborare con dei gruppi italiani, americani e francesi nello sviluppo di un programma trapiantologico che utilizza donatori compatibili al 50% all'interno della famiglia (fratelli, cugini, genitori, figli, nipoti). Per questo trascorre 18 mesi all'Institute “Paoli Calmettes di Marseille” della rete di Istituti di lotta contro il Cancro. «Seguendo questa strada si è riusciti a trovare un donatore in famiglia per pressoché tutti i pazienti che lo necessitavano - ha aggiunto -. Questa innovativa piattaforma trapiantologica che nasce a Baltimora, ha però alcune apparenti difficoltà come quella di non funzionare quando il ricevente presenti degli anticorpi contro una parte dell'HLA del donatore».

Il 2020 si è aperto per lei con una nuova sfida che si chiama “Cart Cell”. Stefania coglie l'occasione di una nuova frontiera dell'immunoterapia che utilizza i linfociti del paziente stesso per combattere la malattia. Si tratta questa volta di un farmaco che può essere prodotto da alcune aziende farmaceutiche a partire dalle cellule del sangue per quello specifico paziente stesso e solo per lui una volta prodotto, potrà essere infuso. Dopo due anni di lavoro di accreditamento di qualità, grazie agli sforzi di un “Cart team” costituito da medici, infermieri e biologi specializzati, oggi è una realtà che Stefania vive ogni giorno e può offrire una possibilità di cura e forse nel tempo anche di guarigione per alcuni sottotipi specifici di leucemie e linfomi non Hodgkin.

La strada è lunga e ancora in salita, ma nel corso di un piccolo spazio di tempo, dalla laurea ad adesso, molte cose sono migliorate e tante storie hanno avuto un finale migliore grazie all'impegno costante e al lavoro di squadra.

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