«Credo che oggi la figura del cuoco, con la propria filosofia del gusto, debba poter orientare la nostra vita. Del resto l'illusione fa parte della storia della cucina siciliana e oggi si chiama effetto wow».
La cucina come identità, è questo il cuore pulsante della grammatica sensoriale elaborata dallo chef Pino Cuttaia che si definisce artigiano e, con il suo ristorante “La Madia”, nel 2009, ha ottenuto 2 stelle Michelin.
Siciliano doc, la sua storia di successo ai fornelli è fatta di vita vissuta, fra seppie e pescatori, cucina vintage e una sincera voglia di riscatto, creando piatti che nascono dalla volontà di nobilitare ogni pietanza e tagli di carne meno nobili, convinto che «il cibo povero sia la massima espressione della cucina».
Piatto dopo piatto, i rimandi della tradizione siciliana diventano tutt'uno con le tecniche gastronomiche e la sua fama cresce grazie a piatti iconici, fra cui “Nuvola di Caprese”, “Quadro di Alici”, “Scala dei Turchi” e, ovviamente, l'“Uovo di seppia”.
«Ma ogni storia di valore deve essere narrata poiché possa essere conosciuta», e con questo intento lo Chef Cuttaia racconterà la sua cucina nel corso di un evento a Messina (giovedì 18, ore 21, al ristorante Extravergine). Otto piatti e una serata già indimenticabile, per gastronauti e cultori della bellezza, omaggio di prestigio alla nostra città.
- Chef, tutto cambiò davanti a una cipolla?
«Quel giorno, con il coltello in mano, ho avuto una folgorazione. Presi in mano una cipolla, tolsi le estremità e mi fermai per un attimo. Come l'avrei tagliata? In quel momento ho capito: avrei fatto il cuoco. È una missione laica».
- Come definirebbe la sua tecnica?
«Sono un artigiano, non un artista. Un artigiano è colui che apre la bottega e lavora con le maestranze per riprodurre qualcosa. Credo che la cucina non possa essere presuntuosa, piuttosto deve raccontare un'identità. Un artigiano deve raggiungere l'eccellenza nella semplicità, questa è la mia sfida».
- Nel tempo, complice anche il ruolo dei media, è cambiato il mestiere?
Il cuoco è divenuto il custode della cultura di un popolo passando attraverso il gusto. Lo chef è la mamma contemporanea, con la responsabilità di tramandare e nobilitare la cucina povera».
- La memoria è il suo ingrediente segreto?
La memoria è il punto di partenza necessario, come racconto nel mio libro “Per le scale di cucina”, edito da Giunti. Dunque, fermiamoci ad ammirare quel ragazzo che vende il prezzemolo al mercato di Catania, un quadro di Guttuso in movimento che coglie un pezzo della nostra tradizione. Usare il cumino o, il coriandolo con il pesce, a mio avviso, significherebbe ripudiare la cultura siciliana».
- Cosa significa aver ottenuto due stelle Michelin?
«È l'espressione delle mie idee ai fornelli, un riconoscimento per la mia cucina sostenibile, perfettamente legata al territorio».
- Sua madre diceva che lei fosse “camurriusu supra ‘u mangiari”…
«È stata una delle molle della mia cucina. Mi ha spinto verso la perfezione. Il gusto e l'estetica si possono coltivare ma è l'attenzione ai minimi dettagli a fare la differenza».
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