
Più di 2500 trapianti effettuati, storie di vita accolta e accompagnata con grande cura, consapevole che indossare il camice bianco è una missione ancor prima che una professione. E’ stato assegnato al chirurgo messinese Enrico Gringeri, vice-responsabile dell’Unità di chirurgia epatobiliopancreatica e dei trapianti di fegato dell’azienda Ospedale-Università di Padova il Premio “Sant’Antonio e Sant’Annibale” alla solidarietà, carità e fratellanza universale ideato dalla comunità dei padri rogazionisti per celebrare i valori universali della cura dell’altro, del servizio disinteressato e dell’amore concreto. “La sua figura rappresenta un modello per le nuove generazioni di medici e cittadini: un uomo che, nel silenzio operoso del suo lavoro, ha costruito ponti tra scienza e umanità, tra Nord e Sud, tra malattia e speranza”, si legge nella motivazione del premio. A celebrare Gringeri insieme al rettore della basilica di S. Antonio padre Mario Magro, la rettrice Giovanna Spatari e l’assessora Alessandra Calafiore che a nome dell’amministrazione ha conferito allo specialista un riconoscimento alla sua messinesità. Una storia professionale iniziata più di 30 anni fa la sua quando giunse a Padova, città del santo taumaturgo che lo ha accolto, nonostante l’iniziale difficoltà ad abituarsi a quegli “orizzonti senza mare”. Poco dopo il suo arrivo, la notizia dell’uccisione del piccolo Nicholas Green travolse il mondo intero e naturalmente lui che ha visto un legame con il piccolo americano, sugellato da quella assonanza nella radice del cognome: la donazione degli organi autorizzata dalla famiglia, che ha permesso a sette italiani (fra i quali tre adolescenti) di rinascere alla vita è stata la conferma che Gringeri avrebbe continuato a perseguire quell’importante obiettivo. “Dopo il trapianto la vita rinasce” racconta, passando in rassegna le tante “sfide impossibili” vinte grazie al coraggio dei pazienti e alla capacità di credere in se stessi; Gringeri ha fatto parte dell’equipe che ha eseguito il primo trapianto di fegato da donatore vivente, ha ridato il sorriso a tanti bambini, la forza di rimettersi in piedi a sportivi che dopo l’intervento sono tornati a gareggiare. Diciassette trapianti in 48 ore è il record raggiunto durante il Covid: anche in quel tempo di disagio è riuscito insieme al suo gruppo di lavoro a non fermarsi, ottimizzando le poche risorse disponibili. Nel cassetto ha un sogno: creare una fondazione per lo studio delle malattie rare perché, ha detto, “curare non vuol dire aggiungere giorni alla vita, ma aggiungere vita ai giorni!”.
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