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La manifestazione di ieri a Messina ha sancito una evidente frattura all'interno della galassia dei comitati, associazioni e movimenti "no Ponte". Mentre il coordinamento messinese, i partiti contrari alla grande opera (PD e 5stelle), l'unione degli studenti universitari e la rete degli studenti medi hanno preso le distanze dal corteo e dagli effetti che ne sono derivati, a sintetizzare la posizione dei promotori dell'iniziativa è uno degli storici attivisti di Messina, il professore Antonio Mazzeo.
"Io c'ero -scrive l'insegnante - e ho visto ben altro. Ho visto un'interminabile serie di provocazioni da parte degli agenti di Polizia, supportati da Carabinieri e Guardia di Finanza. Il lancio di due mini-petardi contro le autoblindo schierate a "difesa" della "Zona Rossa" (all'incrocio tra viale Boccetta e Via Concezione) è stato sufficiente per scatenare manganellate a destra e manca. E poi corse e inseguementi al nulla, schieramenti bellici e antisommossa a presidio di palazzi, banche e vetrine che nessuno, dico nessuno ha mai tentato di avvicinare. Ciò che più mi ha amaramente colpito è stata però la cinica strategia di rappresentare in maniera teatrale - più per intimidire i passanti e i residenti che i manifestanti - azioni repressive e di "controllo della folla" mutuate dalle pluridecennali pratiche delle forze armate italiane e Nato in Kosovo, Libano, Iraq, Afghanistan. Urban Warfare viene definita nei manuali di guerra. E Messina, ieri, ne è stata teatro per la prima volta. Si è trattato cioè della "necessaria" sperimentazione dei processi di militarizzazione e repressione di ogni forma di dissenso che saranno implementati con l'inizio dei cantieri del Ponte sullo Stretto di Messina. Farebbero bene a capirlo tutti gli abitanti dello Stretto e quei presunti "No Ponte" che ieri hanno volutamente disertato l'evento per poi delegittimarlo e crimininalizzare i partecipanti".
Parole che arroventano ancor di più il clima all'interno e all'esterno dei movimenti del "no Ponte".
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