«Il Rapporto Pendolaria 2025 sottolinea ancora una volta come le esigenze di mobilità del Paese siano messe in secondo piano rispetto all’eterna rincorsa all’annuncio sulle grandi opere, dannose o perlomeno discutibili in termini di utilità. Il rischio concreto è ignorare le “piccole” opere che farebbero grande il Paese, e non coglierne le opportunità occupazionali e di slancio economico: raddoppi e passanti ferroviari, potenziamenti e velocizzazioni, nuove stazioni, elettrificazioni». Comincia così il tradizionale Report di fine anno stilato da Legambiente, che ovviamente punta il dito contro il Ponte sullo Stretto che, per gli ambientalisti italiani, viene visto come il Diavolo in persona, la più devastante opera mai immaginata sulla faccia della Terra...
Le considerazioni, più che ambientali, in questo caso, riguardano l’aspetto economico. «Il progetto per il Ponte sullo Stretto di Messina – si legge nel Rapporto – sta drenando risorse fondamentali per il Sud» (ma ci sarebbe da chiedersi: lo Stretto non è Sud?). «Lo scorso anno – leggiamo ancora –, 1.600 milioni sono stati dirottati dalla quota dei Fondi per lo sviluppo e la coesione destinati direttamente alle regioni Calabria e Sicilia, mentre ora sono state alleggerite ulteriormente (da 9,3 a 6,9 miliardi) le spese a carico dello Stato, aumentando da 2,3 a 7,7 miliardi il contributo Fsc. L’aspetto drammatico è che oltre l’87% degli stanziamenti infrastrutturali fino al 2038 riguarderanno il Ponte sullo Stretto, quando rimangono situazioni come quella della linea Palermo-Trapani via Milo (chiusa dal 2013 a causa di alcuni smottamenti di terreno), della Caltagirone-Gela (chiusa a causa del crollo del Ponte Carbone l’8 maggio 2011) o quelle delle linee a scartamento ridotto che da Gioia Tauro portano a Palmi e a Cinquefrondi in Calabria, il cui servizio è sospeso da 13 anni e dove non vi è alcun progetto concreto di riattivazione».
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