Non deciderà le sorti del Ponte sullo Stretto ma, dal punto di vista mediatico e giuridico, la partita che si svolgerà oggi a Roma, davanti alla XVII sezione del Tribunale delle Imprese, è di grande interesse. Come già pubblicato nei giorni scorsi, nella battaglia tra cittadini – 104 hanno firmato la proposta di “class action”, 140 ha chiesto a un pool di legali di presentare memoria a sostegno della “Stretto di Messina” –, si innescano alcune dirimenti questioni sul piano tecnico-giuridico.
Il Tribunale romano, prima di ogni valutazione nel merito dell’azione inibitoria collettiva presentata lo scorso 13 giugno dagli avvocati Aurora Notarianni, Giuseppe Vitarelli, Antonino De Luca del Foro di Messina e Maria Grazia Fedele del Foro di Reggio Calabria, dovrà decidere l’ammissibilità o meno di questa iniziativa giudiziaria. È stata definita una “class action”, ma il termine è improprio, non essendo la “Stretto” una società che eroga servizi pubblici, ma una Spa creata con legge dello Stato, poi messa in liquidazione, quindi riportata in vita sempre con legge approvata a maggioranza dal Parlamento e controfirmata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e che ha come sua finalità la progettazione e costruzione del collegamento stabile tra Sicilia e Calabria.
I ricorrenti individuano come bersaglio il progetto e l’idea stessa del Ponte, considerato «opera non strategica» e accusano la “Stretto” di arrecare «un danno ingiusto a soggetti privati». Al giudice si chiede di accertare se la “Stretto” abbia o meno violato «il dovere di diligenza, correttezza e buona fede, andando avanti con la realizzazione di un'opera che non ha un reale interesse strategico e non è fattibile sotto i profili ambientale, strutturale ed economico». Inoltre, il decreto convertito in legge sarebbe anche «illegittimo a livello costituzionale e in contrasto con le norme interne ed europee».
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