«Non c'è solo il Ponte, ma c'è una città da riprogettare ed è necessario che i messinesi siano protagonisti e non comparse, o peggio ancora vittime». Scuote il silenzio del “dopo Vara” a Messina, il presidente dell'Ordine degli architetti Pino Falzea, e lancia un appello alla classe dirigente della città, ripercorrendo le tappe che hanno portato sin ad oggi, alla vigilia di appuntamenti, quelli di settembre, che saranno decisivi per il prosieguo dell’iter di progettazione e costruzione del collegamento stabile.
Il cammino normativo
«Tutti gli atti sin qui approvati sul Ponte – esordisce Falzea – prevedono che restino immutati, per legge, la localizzazione e il progetto definitivo, datato 2011, con le successive integrazioni. Il recente “Dl Infrastrutture”, nel modificare alcuni punti della legge 35 del 2023, prevede che la progettazione esecutiva possa essere elaborata anche per fasi costruttive, così come succede nel mondo per la maggior parte delle opere pubbliche caratterizzate da un elevato grado di complessità. Non si tratta di una norma per favorire il concessionario, ma un atto di buon senso per agevolare la realizzazione dell’opera. Oggi ci sono leggi che dettano modalità e tempi per la progettazione e costruzione del Ponte e delle opere connesse e/o complementari, non c’è solo il Ponte nel progetto definitivo e non ci sarà solo questo nella progettazione esecutiva perché metà del costo dell’opera, poco più o poco meno, sarà destinato ad altre opere a terra, infrastrutture varie, riqualificazioni, parchi, che modificheranno radicalmente il sistema sociale ed economico dei nostri territori». È da qui, dunque, che bisogna partire.
Il dibattito sterile
Continuare a recitare la parte dei “Sì” e dei “No” può essere anche uno spettacolo avvincente, ma conviene alla città? «Come per tutte le grandi opere ci sono favorevoli e contrari – afferma il presidente dell’Ordine degli architetti –. Tra questi ultimi naturalmente diversi partiti politici: alcuni, contrari a prescindere, che non vogliono il collegamento stabile tra Sicilia e resto del Paese; altri, contrari alla realizzazione di quest’opera così come prevista, vorrebbero altra localizzazione o altra soluzione infrastrutturale. Tra chi desidera affossare l’idea di collegare la Sicilia alla terraferma e chi vorrebbe che si ripartisse da zero per valutare nuove soluzioni che sono state già proposte, approfondite e scartate negli anni passati, mi chiedo perché nessuno abbia, però, promosso una raccolta delle firme per un referendum abrogativo delle leggi che prevedono la realizzazione del Ponte, così da provare a convincere la maggior parte degli elettori Italiani ad andare a votare per abrogarle? Se, poi, si parla di opera tecnicamente non realizzabile o di distruzione della riserva di Capo Peloro, non serviranno di certo proteste o manifestazioni, ma soltanto attendere l'inevitabile bocciatura del progetto esecutivo o la non approvazione della Valutazione di impatto ambientale». Che ci siano i cortei del No, o del Sì, è bene, è un esercizio di democrazia, ma la classe dirigente messinese non può permettersi oggi il lusso di sbagliare mosse.
Il senso di responsabilità
«Chi ha un ruolo istituzionale – prosegue Falzea – dovrebbe lasciare le proteste ad altri ed impegnarsi nel far sì che quanto previsto dalle leggi sul Ponte, se il progetto otterrà le approvazioni di rito, possa restituire alle comunità una Regione più competitiva nell’ambito degli scambi commerciali del Mediterraneo, una Città metropolitana più attrattiva per gli investitori nel settore del commercio e del turismo, la città di Messina ripensata in funzione delle tante opere che il progetto “Ponte sullo Stretto” prevede siano costruite. In quest’ottica, il nostro ruolo diventa quello di lavorare affinché tali opere, assieme al Ponte, possano essere caratterizzate da grande qualità architettonica».