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Oltre gli egoismi: l’Europa è al bivio. Intervista all’ex premier Enrico Letta, a Messina

Un mercato finanziario unico che «sappia attrarre e non disperdere le risorse» e «l’implemento delle politiche di coesione» dell’Unione europea. Il futuro dei Ventisette ha una parabola obbligata, altrimenti sarà arretramento e, su alcuni temi, il «fallimento».
Enrico Letta, già presidente del Consiglio e tre volte ministro, ex segretario del Pd, attuale presidente dell’Istituto Jacques Delors, ieri a Messina. Un incontro all’Università degli Studi preceduto da un’intervista alla “Gazzetta”. Ad aprile, dopo sette mesi di lavoro e centinaia di incontri e colloqui in tutti i Paesi membri Ue (ha visitato 25 città), il Rapporto sul futuro del Mercato unico. Un tavolo sostenuto da tre gambe: la transizione verde e digitale; il processo di allargamento dell’Unione, «che deve andare avanti»: accelerare sulla «cooptazione di Albania e Macedonia del Nord», ad esempio, «porte aperte all’Ucraina, granaio d’Europa che si rivolge anche ai mercati nord americani e africani»; la necessità di rafforzare la sicurezza nell’Unione attraverso un maggiore impegno nella difesa comune.
«Il Green deal è il cuore del rapporto», esordisce Letta. «La sfida è accompagnarlo socialmente: popolazioni e apparati economici o sono contrari o oppongono resistenze. Le divisioni tra i Ventisette sono dunque profonde. I Paesi del Nord Europa sono contrari a fare debito comune e niente affatto disponibili a investire risorse pubbliche nel Green deal. I Paesi del bacino del Mediterraneo, e altri, chiedono un nuovo Recovery Plan esclusivamente dedicato alla transizione». Come uscire dall’impasse? «L’unico modo», afferma Letta, «per convincere» gli intransigenti «Paesi del Nord è attivare un consistente quantitativo di investimenti privati».
Su un piano parallelo e strettamente connesso, c’è un aspetto che preoccupa l’ex premier: attiene alla frammentazione del Mercato europeo, che «favorisce solo gli Stati Uniti». «Basti pensare», sottolinea, «che 300 miliardi di risparmi europei ogni anno prendono il volo verso gli Usa. Ecco, così, che si impone», nel Vecchio continente, «un’unione dei risparmi e degli investimenti», come sostiene anche Mario Draghi. Accompagnata «da garanzie europee volte all’applicazione di interessi maggiori», attrattivi e rassicuranti per investitori e risparmiatori».
Non ha dubbi, Letta, su un punto, l’ineludibile necessità di finanziare la transizione: «Proprietari di case, lavoratori del settore automobilistico e agricoltori senza adeguati sostegno rischiano di “affogare” – i primi – o di scomparire, le due categorie».
Altro capitolo strategico è quello della difesa. «L’integrazione è necessaria», entra nel merito Letta. «In due anni e mezzo l’Unione ha speso per sostenere militarmente l’Ucraina 140 miliardi, tanti quanti gli Usa: l’80% di queste somme è finito però nelle casse di Stati Uniti, Corea del Sud e Turchia». Una “catastrofe” sul piano occupazionale e industriale per l’Ue, un “bingo” per questi tre Paesi.
In questo contesto la sofferenza economica del nostro Paese è dato conclamato: crescita del Pil ancorata allo “zero virgola”, 3000 miliardi di debito pubblico. La crisi che sta attraversando la Germania, locomotiva d’Europa, e le complesse condizioni della Francia hanno a loro volta incidenza negativa sulla nostra bilancia commerciale.
Ma è possibile – chiediamo – che un Paese come il nostro, con una tra le dieci economie mondiali più forti, si limiti a una manovra di bilancio di “soli” 25 miliardi?
Letta ammette: «Le risorse previste non sono di straordinaria entità, ma abbiamo da investire più di 100 miliardi del Piano nazionale di resilienza. Ho girato per mesi l’Europa, l’Italia ha gli occhi di tutti addosso. Ovunque mi hanno chiesto se saremmo riusciti a spendere queste risorse e nel modo dovuto». E questa è una sfida di credibilità per il governo Meloni.
Un esecutivo che vira verso riforme anche controverse: premierato e Autonomia differenziata su tutto. Enrico Letta non si nasconde dietro giri di parole. «Che senso ha il premierato? La mia contrarietà è netta. Già il primo ministro può fare tutto». Al netto della decretazione d’urgenza di cui ogni governo italiano fa oggettivo abuso, è pericoloso «un ulteriore ridimensionamento del ruolo del Parlamento. Così come» la rivisitazione «del ruolo e delle prerogative della Presidenza della Repubblica. Il nostro sistema costituzionale», aggiunge l’ex premier, «si fonda sul bilanciamento dei poteri. Le revisioni sono possibili ma attenzione a dove si va a operare».
È inequivocabile anche il giudizio sull’Autonomia differenziata, riforma che sta alla base del patto elettorale tra Lega e Fratelli d’Italia e su cui si sono levate voci di dissenso anche da parte di esponenti di primo piano di Forza Italia, su tutti quella del governatore calabrese Roberto Occhiuto. «È un una riforma», taglia corto Letta, «che spacca il Paese. Un provvedimento», contro il quale sono state raccolte 1 milione 300mila firme che innescheranno un referendum, «cruciale per il Mezzogiorno».
L’Autonomia differenziata è in un certo senso la cartina di tornasole di una parcellizzazione nazionale che si proietta nell’Unione Europea sulle derive populiste e sovraniste». Sceglie quasi un paradosso, Enrico Letta: «Noi dobbiamo essere sì sovranisti, ma sovranisti europei! La frammentazione e gli egoismi non producono né crescita né sviluppo». Letta sul tavolo dell’analisi lancia anche una carta: «Nell’Unione va superato il diritto di veto». Che, basti pensare all’utilizzo che ne fa il premier ungherese Viktor Orbán, diventa una leva di ricatto. L’Ungheria, a cui guardano anche con ammirazione talune forze politiche al governo dell’Italia, è il Paese tra i Ventisette che ha ottenuto più sussidi nel rapporto tra risorse elargite da Bruxelles e numero di abitanti. E tuttavia recalcitra.
«L’Unione si amplierà», sottolinea l’ex presidente del Consiglio, «ma l’ammissione dei nuovi Paesi deve essere accompagnata dal superamento del diritto di veto».
Letta è un europeista convinto, appassionato. «Il futuro è nell’Unione», sebbene non gli sfuggano tappe e ostacoli. «L’Europa è al bivio, la rotta obbligata», il rischio è il declino quando non l’isolamento, stretti come saremo nella morsa dei giganti – sia vecchi che nuovi – dell’economia mondiale.

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