C’è un dato che mette tutti d’accordo, un nemico comune: l’astensionismo. Ecco perché ogni valutazione, a urne chiuse, andrà fatta in termini percentuali, e non assoluti, perché azzardato sarebbe qualsiasi confronto con esperienze elettorali del tutto diverse e di altre proporzioni numeriche, come le amministrative, le regionali e persino le politiche. Premesso questo, dentro l’arena messinese delle elezioni europee che si chiudono oggi si mescolano partite e ambizioni diverse. E anche obiettivi diversi, che guardano oltre Strasburgo, in alcuni casi soffermandosi su equilibri interni a coalizioni e partiti, in altri su futuri scenari politico-elettorali. Tra i dodici messinesi candidati nelle undici liste in campo c’è chi, naturalmente, ha più fiches da giocare sul tavolo che punta al parlamento europeo e chi, invece, più o meno dichiaratamente (difficile che lo si faccia apertamente) ha speso il proprio nome per la più classica delle candidature di bandiera. È opinione diffusa che sia l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, in lizza con il Movimento 5 Stelle, uno dei principali favoriti di questa tornata elettorale. Scelto direttamente “dall’alto” – leggasi Giuseppe Conte –, senza passare delle primarie interne, l’icona antimafia è il capolista in un collegio sul quale lo stesso leader punta così tanto da decidere di chiudere proprio in Sicilia, oggi a Palermo, la campagna elettorale. I pentastellati sono ringalluzziti dai sondaggi che li profetizzano primo partito nell’Isola e a beneficiare di questo rinnovato vento in poppa potrebbe essere proprio Antoci, invertendo il trend che aveva visto il Movimento in calo a Messina, al punto da rimanere fuori, nel 2022, dal consiglio comunale. È una sorta di derby quello tra i Cinquestelle e il Partito Democratico, sia in chiave regionale che in ottica locale, anche se i Dem hanno più la necessità, in questa fase, di far quadrare i conti al proprio interno. A Messina il Pd ha “congelato” il congresso provinciale proprio per far sì che la campagna elettorale si potesse svolgere senza rischi collaterali che ogni competizione interna porta con sé. Maria Flavia Timbro, espressione di quell’area ex Articolo Uno che esprime uno dei papabili candidati alla segreteria provinciale (Domenico Siracusano, in ballottaggio con Armando Hyerace) ha vissuto queste settimane in giro per la Sicilia insieme agli altri candidati, in una campagna elettorale che ha puntato più sul collettivo e sull’immagine impattante di Elly Schlein che sui singoli, con l’unica eccezione, probabilmente, del siracusano Antonio Nicita. Anche in questo caso la chiusura è avvenuta in grande stile, a Catania, proprio con la segretaria nazionale, sebbene con due giorni d’anticipo. Ma dal day after, è naturale, il Pd messinese dovrà tornare a sciogliere i propri nodi congressuali. Non è ancora chiaro se va collocato o meno in un ipotetico “campo largo”, ma è dichiarata senza tanti giri di parole la valenza strategica in ottica futura – e quindi regionale – che Cateno De Luca ha dato e darà a queste elezioni europee. L’obiettivo, quasi un’ossessione, resta sempre la presidenza della Regione. Ma per arrivare lì e per arrivarci alla guida di una coalizione eventualmente sovrapponibile all’attuale coalizione, De Luca dovrà portare in dote un risultato importante quantomeno in Sicilia. La sfida del 4% nazionale, sbarramento che si avvicina e si allontana a seconda del sondaggista di turno, è una suggestione che ha altre mire, quella di un posizionamento nello scacchiere politico utile, al sindaco di Taormina, per accreditarsi su più tavoli. Da qui anche la candidatura-kamikaze a Monza, da qui l’impresa – in quel caso più che riuscita – delle Politiche 2022, i cui frutti (due eletti in Parlamento, anche se una è stata persa per strada) si sono visti proprio in queste Europee, con il potere contrattuale di Sud chiama Nord che è schizzato alle stelle, agli occhi di quella galassia di movimenti e partitini scoraggiati da titaniche raccolte firme che, oggi, compongono la lista Libertà. Non a caso De Luca più volte (anche ieri nei comizi di Taormina e Messina, oggi la chiusura a Caltagirone), ha richiamato i suoi, invitandoli a dare di più, a «sudare la maglia», paventando possibili rese dei conti a urne chiuse. In ogni caso questo appuntamento sarà un giro di boa, per De Luca. Verso quali rotte, ancora non si sa. Di diversa lettura è la partita che viene giocata dentro il centrodestra. Qui i big messinesi sono tre: l’assessora regionale Elvira Amata per Fratelli d’Italia, la deputata regionale Bernardette Grasso per Forza Italia e il senatore leghista Nino Germanà (a cui si aggiunge un’altra leghista, la nebroidea Francesca Reitano). L’impressione è che per ognuno sia prioritario portare acqua al mulino del proprio partito – in un contesto in cui in gioco c’è la leadership di coalizione, come spieghiamo a pagina 14 – e che le ambizioni personali, più che a Strasburgo, guardino ai rispettivi ruoli di vertice da “tutelare”. C’è, ad esempio, un possibile rimpasto nel governo Schifani di cui tener conto, ma non solo. Germanà ha reso la sua campagna elettorale una sorta di referendum sul Ponte, con tanto di chiusura a fianco del leader Matteo Salvini e davanti ad una torta-rendering, e punta ad essere un riferimento del Carroccio in Sicilia. Amata vanta un rapporto diretto coi vertici del partito, da Manlio Messina alla stessa Giorgia Meloni, e ha l’obiettivo di consolidare la propria autonomia di movimento. Grasso, che dei forzisti è guida nel Messinese, se da un lato potrebbe contare su appoggi esterni (Totò Cuffaro?), dall’altro ha visto, in questa campagna elettorale i parlamentari messinesi (e non solo) tirare la volata ad altri: Matilde Siracusano e Tommaso Calderone si sono spesi per Marco Falcone, il gruppo di Beppe Picciolo ha spinto Edy Tamajo. E poi ci sono gli outsider. Francesco Calanna è politico di lungo corso, ha trovato nei renziani e nella lista Stati Uniti d’Europa la propria “casa”, e anche qui c’è un posizionamento interno – quello della senatrice Dafne Musolino – da valutare, mentre l’ala radicale di +Europa vira decisamente su Rita Bernardini. La sfida generale è quella del 4% nazionale, la stessa che anima Azione di Calenda, in cui la portabandiera messinese è Sonia Alfano, che a Strasburgo un giro l’ha già fatto, nel 2009. Massimo Romagnoli è stato tra i più attivi in questa campagna elettora, al fianco di Stefano Bandecchi in Alternativa Popolare, così come passionale è stato l’impegno profuso dall’ex assessore accorintiano, Nino Mantineo, con Pace Terra Dignità di Michele Santoro, e da Giuliana Fiertler, che indossa i colori di Alleanza Verdi e Sinistra del tandem Bonelli-Leoluca Orlando.