Prima di diventare giudiziario, il caso Croce è nato a Palazzo Zanca ed a Palazzo Zanca torna, seppur in un quadro generale evidentemente mutato. Se fino a qualche giorno fa le due questioni principali che riguardavano Maurizio Croce – il doppio incarico di consigliere comunale e soggetto attuatore dell’ufficio contro il dissesto idrogeologico e il record di assenze in aula – erano pertinenza della politica, oggi la politica stessa deve occuparsi delle conseguenze di un terremoto giudiziario e di come gestire il “dopo”. Il primo effetto dell’arresto di Croce è stato il provvedimento di sospensione dalla carica di consigliere comunale da parte della Prefettura. La sola sospensione, però, non è sufficiente per procedere ad una surroga di Croce, e cioè alla sua sostituzione in consiglio comunale con uno dei non eletti. E qui entra in gioco il secondo effetto: le dimissioni presentate dallo stesso Croce venerdì sera, con una Pec inviata da un avvocato di fiducia dell’esponente di Forza Italia (in realtà “ex”, perché anche lì è stato sospeso dai vertici del partito). Ma ecco il piccolo colpo di scena: quelle dimissioni, al momento, non sono ritenute valide dal presidente del consiglio comunale Nello Pergolizzi, che si è consultato con la segretaria generale. Sebbene allegato a quella Pec ci sia un documento firmato da Croce, in cui comunica, appunto, «le proprie dimissioni irrevocabili dalla carica di cui sopra (consigliere, ndr), per motivi strettamente personali», non risulterebbe una delega da parte dello stesso Croce all’avvocato in questione per l’invio della mail al Comune. Un formalismo, nulla di più, che però per ora frena Pergolizzi. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Messina