Il sindaco Cateno De Luca si dice pronto a lanciare la proposta di un referendum popolare consultivo per dire sì o no al Ponte sullo Stretto. Non è un’idea nuova. Nel marzo del 2019 il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci, rispondendo per le rime all’allora ministro Toninelli, preannunziò la volontà della propria Giunta di muoversi verso questa direzione: «Il ministro non può dire che è offensivo parlare di Ponte sullo Stretto, non glielo consentiamo a casa nostra – dichiarò Musumeci –, vogliamo indire un referendum sul Ponte dello Stretto tra i siciliani per capire se quest'opera, che non esclude la riqualificazione e il potenziamento della rete infrastrutturale dell'isola, sia realmente condivisa dal popolo siciliano oppure no».
Nel luglio di quest’anno, a rilanciare l’ipotesi è stata l’Unione dei siciliani che contestava il mancato inserimento del progetto del Ponte nel decreto legge “Semplificazioni” nel quale era stato previsto un lungo elenco di opere pubbliche «che godranno di procedure semplificate per la loro realizzazione». Il movimento Unione dei Siciliani-Sicilia Nazione ha scritto una lettera aperta a tutti i parlamentari regionali dell’Ars, «ritenendo ormai ineludibile un’adeguata reazione a tutti i livelli, popolare e parlamentare, nei confronti del Governo nazionale per richiedere a gran voce di riavviare l’iter di realizzazione di un’opera fondamentale per lo sviluppo dell’Isola». Da qui la richiesta dello svolgimento di un Referendum consultivo «ai sensi degli articoli 25 e seguenti della legge regionale n. 1 del 13 febbraio 2004 recante “Disciplina dell’istituto del Referendum nella Regione siciliana e norme sull’iniziativa legislativa popolare e dei consigli comunali o provinciali”». Sul Referendum si è detto pronto a mobilitarsi lo stesso movimento “Diventerà bellissima” nato con la candidatura alla presidenza della Regione di Nello Musumeci.
De Luca vuol far sul serio e questo sarà uno dei suoi prossimi cavalli di battaglia. In verità, il sindaco sul Ponte, negli ultimi mesi, aveva e ha tenuto un atteggiamento di prudenza, con poche dichiarazioni, anzi con molto scetticismo nei confronti delle tante dichiarazioni ascoltate in queste settimane. «Devo amministrare un Comune e una Città metropolitane, non ho tempo per le chiacchiere inutili», aveva spiegato qualche tempo addietro. Ma in attesa di capire come si evolveranno gli sviluppi della vicenda Ponte-Recovery Fund, il sindaco di Messina in ogni caso ha pronta l’arma del Referendum popolare: «Io lo farò, non come gli altri che lo annunciano solamente».
Il Governo nazionale, intanto, deve stare molto attento sulle scelte riguardanti il collegamento stabile tra Sicilia e Calabria. Chi sostiene che il contenzioso tra lo Stato e il General Contractor che si era aggiudicata la gara per la realizzazione del Ponte sia definitivamente archiviato, avrà anche le sue ragioni. Ma le cose sembrano più complicate. La partita non è ancora stata vinta da Roma e non lo sarà prima della fine dei... supplementari.
Ricordiamo i passaggi e le date cruciali degli ultimi 20 anni. Nell’aprile 2003 il Governo Berlusconi vara il decreto per la realizzazione della grande opera e la società Stretto di Messina riprende in mano il progetto preliminare che era stato predisposto dieci anni prima. Nel 2005 la Commissione di gara aggiudica alla società Impregilo (capofila di un raggruppamento) l’appalto del Contraente generale Sembra tutto fatto: il progetto definitivo deve essere presentato nel 2007 e da quel momento scatterebbero i 5 anni per i lavori (fino al 2012). Ma nel 2008 la Camera approva una risoluzione contro il Ponte, scoppia l’ennesima “bagarre” su un tema “sospeso” eternamente tra mitologia e fantascienza, l’allora ministro Matteoli dichiara che si apriranno i cantieri e il Governo Berlusconi un cantiere in effetti lo apre (o finge di farlo), a Cannitello, sulla sponda calabra. Arriva poi Mario Monti, il Ponte non è più tra le priorità, l’Unione europea si smarca visto l’assurdo altalenarsi di scelte contrapposte da parte dell’Italia, nel 2013 viene chiusa la “Stretto di Messina”, poi il “ciclone” Matteo Renzi che riapre la porta alla grande infrastruttura, quindi i due Governi Conte che sembrano fissare la propria capitale a “Babele”, la città dove ognuno parla una lingua tutta sua e nessuno capisce più nulla delle intenzioni dell’altro, soprattutto all’interno del Consiglio dei ministri.
Ma EuroLink, il consorzio guidato dalla Impregilo-Salini (diventata nel maggio 2020 il grande colosso delle costruzioni WeBuild) mica si è rassegnato. Aveva avuto assegnato dallo Stato (non da Arlecchino o Pulcinella, anche se l’Italia conferma di essere la patria di Arlecchino e Pulcinella...) il contratto per la realizzazione del Ponte, dal valore di 3,9 miliardi di euro. La richiesta di un megarisarcimento, da oltre 700 milioni di euro, nel 2018 è stata rigettata dal Tribunale di Roma. Ma nel 2019 lo stesso Consorzio è tornato alla carica, presentando il ricorso alla Corte d’appello per inadempienza contrattuale. Qualunque sarà la scelta del Governo Conte, i legali di EuroLink sono lì in agguato, pronti a far valere l’esistenza di un progetto definitivo, a differenza di quanto sostenuto da alcuni ministri (Provenzano in testa) secondo i quali il Ponte non può essere inserito nel Recovery Plan perché non ci sarebbero i tempi. Ma i tempi per far cosa? Certo, se ci si ostina ulteriormente a parlare di analisi costi-benefici (che era stata fatta negli anni scorsi, altrimenti non si sarebbe mai potuto dare in appalto l’opera) o se si tirano fuori idee come il Tunnel, allora è evidente la mancanza di una volontà politica. O, meglio, il prevalere di una volontà politica che, dietro la non scelta, di fatto sceglie il no agli investimenti nell’Area dello Stretto. Ma senza Ponte, si deve avere il coraggio di dirlo, l’Alta velocità ferroviaria non sbarcherà mai in Sicilia. Checché ne dicano ministri o viceministri...
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