Il sindaco di Messina, Cateno De Luca, replica alla lettera delle 70 donne firmatarie della nota pubblicata sulla Gazzetta del Sud del 12 novembre 2019 con il titolo “I blitz nella case di appuntamento. La rivolta di 70 donne messinesi” e su altri quotidiani on line. Egregi, non posso che restare meravigliato e francamente anche sconvolto leggendo la lettera che le 70 Signore mie concittadine mi hanno indirizzato, a mezzo stampa, e con la quale le stesse si sono lamentate della recente campagna anti prostituzione che la Polizia Municipale sta portando avanti da qualche mese su mio preciso input, sostenendo che dietro la pubblicazione delle immagini di ciò che viene rinvenuto in queste case d’appuntamento, vi sarebbe una visione maschilista, bigotta, pruriginosa e patriarcale della sessualità femminile, accusandomi – senza tuttavia addentrarsi a svolgere alcun ragionamento a sostegno di tale accusa – che vi sarebbe un filo che unirebbe la violenza fisica sulle donne a quella “simbolica” che io avrei recato pubblicando le immagini degli oggetti e del denaro che vengono di volta in volta rinvenuti sui luoghi del sequestro (non ricordo di aver pubblicato foto di falli di gomma forse le signore si saranno autosuggestionate). Non possiamo che contestare una simile accusa, con la quale sembra che le mie 70 concittadine vogliano giustificare la prostituzione elevandola al rango della libera espressione della sessualità femminile, come se la mercificazione del corpo sia divenuta una forma elevata e pura di espressione delle libertà civili. Ma ancora più inaccettabile è l’associazione di idee secondo la quale la pubblicazione delle immagini degli oggetti e del denaro costituirebbe una forma di violenza e tradirebbe una visione bigotta, maschilista e pruriginosa della Donna e della sua sessualità. Al riguardo non possiamo che respingere una simile accusa rammentando alle Signore che questa Amministrazione ha incentrato tutta la propria azione su un canone di trasparenza e di testimonianza immediata e diretta, anche mediante immagini, di ciò che si fa. Non vi è alcuna differenza tra le immagini della “movida” dei locali notturni, in cui compaiono le decine di bottiglie sui tavolini o rovesciate a terra nelle discoteche oggetto del controllo, e quelle delle case di appuntamento. Così come non vi è alcuna differenza tra le immagini del pesce e della frutta e verdura oggetto dei provvedimenti dei sequestri nei confronti dei venditori abusivi e quelle delle case di appuntamento: in tutti questi casi, ci siamo limitati a documentare ciò che è stato rinvenuto, documentando in modo oggettivo e realistico ciò che abbiamo visto, espandendo la conoscenza di questi ambienti e delle attività a tutti coloro che vogliano fare un atto di presa di coscienza. Con la pubblicazione delle nostre foto, spesso scattate da me stesso o dagli Assessori che mi accompagnano nelle mie attività, abbiamo squarciato quel velo di ipocrita perbenismo, per il quale tutti in città sapevano che nei locali notturni si somministrava alcol ai minorenni, ma nessuno si permetteva di andare in certi locali per contestare il mancato rispetto delle prescrizioni di sicurezza e la violazione delle disposizioni sulla somministrazione di sostanze alcoliche ai minorenni. Allo stesso modo, tutti in città sanno che in molti appartamenti, alcuni dei quali appartengono a persone illustri che li affittano senza curarsi del loro effettivo utilizzo, vi si possono trovare giovani donne che si prostituiscono… del resto esiste una chat su whatapp, il cui numero è facilmente reperibile, dove si mercanteggiano orari, prezzi e appuntamenti. Allora il problema sembra che non sia più l’attività illecita, ma la pubblicazione delle immagini che immortalano questa attività! Come se le immagini di ciò che viene rinvenuto nei luoghi del “divertimento messinese” (ma divertimento per chi?) costituissero una forma di violenza, e non una mera rappresentazione oggettiva delle cose, così come sono, nude e crude: decine di bottiglie di alcol rovesciate a terra, rotte oppure vuote e abbandonate sui tavoli dei locali o per le strade, rappresentano una immagine del divertimento notturno al pari delle immagini delle parrucche, della biancheria intima, dei fazzoletti intrisi di sangue, dei preservativi usati buttati in un cestino e di quelli ancora confezionati… che hanno urtato la sensibilità delle Signore perché sono servite a ricordare loro, come a tutti noi, che dietro quelle immagini ci sono delle persone, ci sono dei minori ai quali viene somministrato alcol senza controllo inducendoli ad una dipendenza, ci sono donne che trascorrono la sera e la notte eseguendo prestazioni sessuali a pagamento. Non ho mai assunto il ruolo di moralizzatore dei costumi altrui, e per questo invito le Signore firmatarie della nota, tra le quali scorgo i nomi di una sociologa, di una funzionaria del Ministero di Giustizia e di una “esperta” dei diritti delle fasce debole della popolazione, di una giornalista a tempo perso (quando non fa campagna elettorale), chiarire come ritengano possibile che tutte queste donne straniere che di volta in volta vengono rinvenute negli appartamenti, possano avere scelto, dopo essere giunte in Italia, di trarre il proprio sostentamento dalla pratica sessuale a pagamento, spesso praticando questa attività in un appartamento dove vengono condotte da qualcun altro che di solito raccoglie i proventi della loro attività. Ma una cosa deve essere chiara a tutti, in queste case non si pratica la sessualità libera e disinibita che potrebbe costituire espressione della propria libertà e di una piacevole sublimazione dell’essere, no. In quelle case abbiamo trovato giovani donne, tutte straniere, che si prostituiscono e che cedono il denaro che ricavano da questa attività ad un uomo (spesso in casa con loro al momento della nostra irruzione) che le controlla e decide dove devono lavorare spesso avendole irretite con qualche falsa promessa. Questa è la drammatica realtà con la quale ci confrontiamo ormai da qualche settimana, dove le ragazze fermate spesso finiscono per raccontare agli Agenti della Polizia Municipale le loro esistenze e le circostanze che le hanno portate a quella condizione, che non viene mai rivendicata come una “libera scelta” ma costituisce sempre una sorta di soluzione estrema ad uno stato di difficoltà, materiale o psicologica, nel quale si sono trovate. Certo mi stupisce non poco che questa espressione di indignazione provenga proprio da un gruppo di Donne che sembrano avere associato la prostituzione alla libertà di espressione e pur essendo ovviamente consapevole che la prostituzione non costituisce reato, rammento che lo sfruttamento della prostituzione lo è, e rappresenta una delle forme di sopraffazione più becera e violenta che esista, una mortificazione morale e fisica per chi lo subisce, che mi rende fiero di potere dire che quasi tutte le azioni svolte fino ad ora dalla Polizia Municipale hanno portato alla identificazione e denuncia dei soggetti indagati per sfruttamento della prostituzione. Tra queste 70 sinistre firme manca solo il TIMBRO che bolla il Sindaco De Luca di essere un becero fascista e nulla più!