Nell'aula consiliare del Comune di Messina si è giocata ieri la seconda puntata della partita sulle società partecipate (sì, proprio all’indomani dell’atto con cui la Giunta punta a crearne una nuova). A dare il calcio d’inizio di quella partita, i consiglieri del Pd Felice Calabrò, Antonella Russo e Gaetano Gennaro. Non ieri, non una settimana fa, ma a novembre, in tempi di “Salva Messina”, attraverso una proposta di delibera con cui, in sintesi, si chiedeva di modificare gli statuti delle società partecipate e delle aziende speciali, riducendo i vertici dagli attuali tre componenti dei Cda ad un amministratore unico.
Quando, la settimana scorsa, l’atto è stato approvato in commissione Bilancio ed è approdato in aula, è suonato un campanello d’allarme nella “squadra” di De Luca. Il sindaco si è precipitato in Consiglio, ha preso tempo. E tutto è slittato a ieri. Quando l’assist più efficace è giunto proprio dal gruppo consiliare “affiliato” al Pd, LiberaMe. Il gruppo considerato più vicino all’area “universitaria” dei democrats. Nello Pergolizzi (primo firmatario), Massimo Rizzo, Alessandro Russo e Biagio Bonfiglio si sono presentati con un documento di tre pagine, molto dettagliato, col quale il 14 febbraio scorso è stato chiesto un parere di legittimità, rispetto alla delibera di Calabrò e company, al segretario generale. Dettaglio non trascurabile, la delibera era munita del parere positivo del dirigente Giovanni Di Leo.
E il parere del segretario generale Rossana Carrubba è stato altrettanto dettagliato: tre pagine per dire, in sostanza, che il consiglio comunale non può imporre una modifica degli statuti prevedendo l’obbligatorietà dell’amministratore unico. Ma anche per paventare, in coda, una possibile richiesta di risarcimento danni da parte del Comune per indebito “licenziamento”. La conseguenza è stata pressoché inevitabile: Calabrò e colleghi hanno ritirato la delibera.
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