La dismissione dei beni patrimoniali è stato uno dei cavalli di battaglia, e nello stesso tempo il più clamoroso “flop”, di vecchie Amministrazioni comunali. De Luca addirittura pensa di poter dismettere e valorizzare parti del patrimonio pubblico per un importo compreso tra 600 milioni e 1 miliardo di euro. Cifre che, se raffrontate con i tentativi finora esperiti dall’ente locale, sembrano davvero una “boutade”. A meno che il Comune non voglia vendere tutte le scuole elementari e medie, e i suoi edifici più importanti, a partire da Palazzo Zanca, Palazzo Satellite e Palazzo Weigert. In quasi due decenni il Municipio di Messina è riuscito a dismettere qualche vecchio plesso scolastico (come quelli di Acqualadroni, Cumia e Tono), le aree del torrente Trapani, la caserma di via Salandra (acquistata dai Vigili del fuoco) e poco altro. E non perchè il Dipartimento non abbia lavorato – all’epoca di Buzzanca non ci fu bisogno di un’altra azienda partecipata e della valorizzazione dei beni si occupò il sindaco in persona –, ma perché le risposte del mercato sono sempre state o del tutto negative o di gran lunga al di sotto di aspettative sovradimensionate. Scommettere di nuovo su questo fronte, pensando che la vendita dei beni comunali (quali e a che prezzo?) sia la panacea di tutti i mali, è un pericoloso azzardo. Creare un’azienda significa nominare un nuovo presidente, nuovi componenti del consiglio di amministrazione e del collegio dei revisori dei conti. Su chi verranno addossati questi costi, se non sulle spalle dello stesso Comune? Leggi l’articolo completo su Gazzetta del Sud – edizione Messina in edicola oggi.