
Abiti, professioni, linguaggio, stili di vita, persino - ancora - gli abbinamenti cromatici, tra “rosa” e “azzurro”. Gli stereotipi di genere permeano trasversalmente, ancora, la società in cui viviamo: la differenza sostanziale è che, però, oggi siamo sempre più consapevoli delle gravissime conseguenze che essi hanno avuto nel determinare condizioni di svantaggio sociale per le donne, ben oltre il colore di un accessorio. Ecco perché la sensibilità contemporanea impone di riconoscere e quindi “smontare” ciò che è uno “stereotipo”, cioè ciò che non ha alcun valore oggettivamente rilevante, ma deriva soltanto da retaggi discriminatori legati alla presunta superiorità di un genere sull’altro. Se ne è parlato a lungo e intensamente nell’aula magna dell’Ateneo durante la masterclass con Maura Gancitano, filosofa e saggista.
«Siamo orgogliosi d’inaugurare con questo evento una nuova fase della nostra collaborazione con Taobuk – ha dichiarato la rettrice Giovanna Spatari – Ospitare Maura Gancitano ci permette di approfondire un tema centrale nel dibattito contemporaneo, quello degli stereotipi, che tocca la costruzione dell’identità personale e collettiva. Desidero, inoltre, ringraziare le professoresse Calabrò e Meo e tutte le altre colleghe costantemente impegnate nell’approfondimento delle tematiche di genere». «Taobuk - ha sottolineato la presidente e direttrice artistica del festival Antonella Ferrara - si nutre del pensiero giovane e critico che gli studenti e studentesse dell’Università di Messina offrono ogni anno. È necessario domandarci chi siamo, chi definisce le nostre identità e, dunque, i nostri “confini”, termine che accompagnerà l'edizione 2025».
Ad introdurre l’ospite sono state le professoresse Vittoria Calabrò, storica delle istituzioni politiche e presidente del Comitato unico di garanzia di Unime, e Milena Meo, sociologa politica, vicepresidente del Cug, che hanno tratteggiato - tra filosofia, sociologia e studi di genere - i meccanismi attraverso cui si costruiscono e si trasmettono gli stereotipi: nei media, nella scuola, nella famiglia. Ricostruito anche il percorso normativo che ha eliminato le discriminazioni ai danni delle donne ancora esistenti nonostante il chiaro dettato costituzionale dell'articolo 3 contro ogni disuguaglianza, anche di genere. Tra esse, ad esempio, alcuni articoli del codice penale e civile (tra cui la regolamentazione del diritto di famiglia e il c.d. delitto d'onore) e la legge che, fino agli anni '60, impediva l'ingresso femminile in magistratura.
«Gli stereotipi – ha affermato Gancitano, cofondatrice del progetto culturale Tlon – sono costruzioni sociali storicamente situate. Possiamo trasformarli, ma per farlo dobbiamo capire da dove vengono. In quanto animali narrativi, abbiamo sempre bisogno di storie da cui trarre insegnamenti o comportamenti, ma sta a noi distinguere tra una storia vera ed una inventata. Sin da bambini, con le fiabe, abbiamo bisogno delle storie per capire le strutture delle cose. Per comprendere meglio questo passaggio, cito sempre l’esempio di Maleficent e della sua scrittrice Linda Woolverton. Le cose, secondo la sua rilettura, non stanno come ci ha mostrato la Disney in "La bella addormentata". Malefica reagisce ad una violenza subita, ovvero, il taglio delle ali. Ne consegue che gli stereotipi derivano dalle storie che ci vengono raccontate e possono essere destrutturati e superati con l’impegno e la costanza. Alcuni stereotipi, come quello legato al mito della bellezza o dell’estetica femminile, hanno attraversato i millenni e sono stati modificati. Tutto ciò vale anche per gli stereotipi di genere del nostro tempo: li abbiamo imparati a conoscere e possiamo superarli».
Presenti anche gli studenti e le studentesse di Universome e di Unime GDS Lab, laboratorio di tecnica giornalistica promosso dall’Università di Messina in collaborazione con Società Editrice Sud, coordinato dalla prof.ssa Maria Laura Giacobello e dalla responsabile della GDS Academy di Ses Natalia La Rosa, che ha sottolineato come l’impegno del corso sia anche quello di promuovere tra i giovani, attraverso il network Ses, un approccio responsabile all’informazione professionale. E proprio questo aspetto è emerso durante il dibattito finale - animato anche dalle studentesse del Lab - in cui Gancitano ha parlato dell’impatto troppo a lungo “sottovalutato” dei social e della speciale responsabilità dei media territoriali nel proporre una narrazione corretta - specie dei fatti di cronaca, come le violenze di genere - ad un pubblico che sovente non può avere poi - o non cerca - altre fonti di confronto.
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