Storie minime per amori grandi dal carattere universale, narrate con semplicità e spirito romantico, hanno reso Mobrici (nome completo Matteo Mobrici) un apprezzato cantautore dell’attuale panorama musicale. In bilico fra pop e canzone d’autore, l’ex frontman della band indie pop Canova approderà il 26 agosto al Giardino Corallo di Messina con il tour de “Gli anni di Cristo”, secondo album da solista, per il cartellone del Comune “Messina Città della Musica e degli Eventi” (organizzazione Puntoeacapo e Il Botteghino). In scaletta i brani del disco, tra cui i singoli “Figli del futuro”, “Piccola” e “Luci del Colosseo”, e altri pezzi dal suo esordio “Anche le scimmie cadono dagli alberi” (2021) e dal repertorio del vecchio gruppo. Ad accompagnare Mobrici, Paolo Carlini e Francesco Pellegrini alle chitarre, Matteo Lorenzi alla batteria e, al basso, Valerio Mina, musicista di Siculiana Marina (Agrigento). Significativo il titolo dell’album, racconto di vicende personali che tuttavia traducono sentimenti e interrogativi della generazione dell’artista, per ricavarne una storia condivisa. “Sono canzoni che ho scritto lo scorso anno, a 33 anni, quelli di Cristo – ci spiega - e quindi il titolo per unirle nel disco era perfetto. I 33 anni per una persona sono un traguardo, una porta verso l’età adulta, da cui non si torna indietro. Oggi l’adolescenza si è prolungata tantissimo e credo che gli anni di Cristo rappresentino la fine di questo periodo. I brani dell’album contengono domande, dubbi e aspettative sul futuro che mi è sembrato giusto bloccare e mettere a fuoco in un momento storico della mia vita e Il fatto che tante persone ci si ritrovino mi dà piacere e conforto”. I pezzi del disco, oltre a rispecchiare una generazione, affrontano le varie sfaccettature dell’amore (“Amore mio dove sei”, “Luci del Colosseo”), ma anche i tempi che cambiano e il dramma di esistenze tormentate. Come sono nate? “Sono canzoni concepite in tempi differenti come diversi sono i momenti dell’anno e delle singole giornate in cui sono nate. Rappresentano sfaccettature del mio carattere e quando in concerto mi capita di unirle ai pezzi più vecchi viene fuori esattamente la mia persona, in tutte le varie sfumature. Il discorso generazionale credo sia legato all’autenticità delle canzoni, perché quando un prodotto artistico è vero, spontaneo, è facile rispecchiarsi e una sola vita può raccontarne tante. La mia unica regola nella musica è la sincerità: essere un amico che scrive canzoni, con una vita simile a quella degli altri”. Ne “Gli anni di Cristo” ci sono forti influenze vintage, dal cantautorato italiano degli anni ’70 al synth pop anni ’80…. “In questo album mi sono sbizzarrito negli arrangiamenti, curati col produttore Federico Nardelli, perché il bello del pop è la possibilità di spaziare senza dover sottostare a regole: puoi realizzare un pezzo più rock’n’roll, un altro synth pop anni ’80 e un altro ancora più sul cantautorato anni ‘70. Ma sono sempre le canzoni a guidarmi nel percorso di ricerca degli arrangiamenti, seguendo un primo input che arriva durante la scrittura”. Nella tua musica hai dei punti di riferimento precisi? “Ho iniziato suonando la batteria a 13 anni perché ero follemente innamorato dei Blink-182. Da lì ho scoperto Lucio Battisti e i Beatles, che hanno rappresentato la mia educazione sentimentale. Ma come riferimenti ho anche i grandi cantautori italiani, come Rino Gaetano, Cocciante e Tenco, e il rock di Strokes e Oasis. Sono ascolti che mi hanno formato e che cerco sempre di unire nelle mie canzoni”.