Parla per immagini nel suo ultimo album, facendo emergere un amore per il cinema che ha radici lontane, nello stile di Dalla e De André, narratori per eccellenza della canzone italiana. Samuele Bersani sarà questa sera al Teatro Antico di Tindari con il tour di “Cinema Samuele” (Targa Tenco 2021 come miglior album), nell’ambito del Tindari Festival, promosso dal Comune di Patti (col sostengo di Parco Archeologico di Tindari, Regione Siciliana e Università degli Studi di Messina). In scaletta, i brani dell’album, come “Harakiri”, “Pixel” e “Mezza bugia”, ma anche i pezzi storici del cantautore riminese, da “Chicco e Spillo” a “Freak” passando per “Giudizi universali”, “Spaccacuore” e “Coccodrilli”. Accompagnerà l’artista la band formata da Tony Pujia e Silvio Masanotti (chitarre), Alessandro Gwis (piano e tastiere), Stefano Cenci (tastiere), Davide Beatino (basso), Marco Rovinelli (batteria), Michele Ranieri (cori e polistrumentista). Sul palco di Tindari Bersani porterà la leggerezza, l’ironia e la profondità del suo stile, secondo un modello ben preciso, affinato a contatto con Lucio Dalla, suo maestro: «Una delle persone più profonde e divertenti che abbia mai conosciuto – ha detto – . Rimango affascinato dalla sua scrittura, dal tipico raccontare le cose in modo leggero, con parole semplici e un linguaggio immediato». “Cinema Samuele” esplicita un amore per il cinema che è anche fil rouge di tutto l’album, in cui lo sviluppo dei testi è simile al cortometraggio. Hai un preciso modello di racconto filmico? «Credo di aver sempre avuto questa caratteristica. Dalla prima canzone “Il mostro” e da “Chicco e Spillo” ho sempre scritto per immagini, cercando di far respirare l’odore che avevo in testa mentre raccontavo una storia. Poi componendo l’album mi sono accorto che il titolo era perfetto per sintetizzare ciò che stavo facendo. In me il cinema è più vivo che mai: sono cresciuto guardando film in sala a Cattolica dove ogni estate si svolgeva un festival dedicato, e la mia grande passione è stato il racconto cinematografico, quasi prima della musica. Addentrarmi nelle storie era essenziale agli inizi come oggi. E poi ascoltare Dalla o De André significava seguire una sceneggiatura, ed è stato naturale applicare quel modello alla composizione delle mie canzoni». Sei ai trent’anni di carriera. Quali i momenti più significativi, quelli di svolta? «Sicuramente è stato importante l’inizio, perché mi sono trovato a fare palestra ogni sera, cantando un mio brano a 21 anni, in uno spettacolo di Dalla dopo “Caruso”, con un livello di difficoltà elevato per un ragazzino. Poi credo di essere sempre stato coerente nelle scelte che ho fatto al di là delle canzoni, per il modo in cui mi sono mostrato. Ma sono le mie canzoni a parlare; ce ne sono alcune che resistono ancora, e in 30 anni mi hanno fatto incrociare tante generazioni. I momenti significativi e di svolta sono stati tanti, tra cui il film “Chiedimi se sono felice” di Aldo, Giovanni e Giacomo, con la colonna realizzata su miei pezzi; o il primo Sanremo nel 2000 con “Replay” e poi tanti altri. Tendo spesso a dimenticare in fretta le emozioni, ma ne ho provate veramente tante». L’ultimo album affronta sia tematiche intimiste che sociali, tra cui la disperazione umana, la ludopatia, il potere della tecnologia e altri. Come scegli i contenuti dei tuoi pezzi? «In realtà sono sempre stato affascinato dai muri, perché dietro ai muri ci sono storie; non c’è bisogno di vedere qualcuno dentro una casa o da una finestra. Vivo in un mondo che comunque dà dei segnali che devo cogliere per trasformarli in storie. Spesso è la musica che mi dà l’umore giusto per parlare di un argomento piuttosto che di un altro. Per me i testi potrebbero anche non esserci, nel senso che compongo le melodie e poi gradualmente si riempiono di parole, come è accaduto con “Cinema Samuele”».