La prima volta che incontrò Lucio Battisti si sentì dire nel suo dialetto... «Aho! C'hai l'armonica come Bobbe Dylan!». E lui, il giovanissimo Edoardo, lo prese «come un complimento». Che poi è quello che era, e che rimane. Un tratto del volto, un carattere impresso. Tanto che, tuttora, dici Bennato, senti in bocca l'armonica. Quello strumento «che puoi portare sempre con te. Può farti compagnia, puoi tirarci fuori un blues e a volte acchiappare una ragazza». Erano gli anni della gavetta quelli, passati tra un contratto con la Parade di Rossi e Morricone e l'altro con la Numero Uno di Mogol e Lucio. Poi ci sono stati i grandi sogni, lunghe estati italiane, infinite vie del rock, isole, stelle e cammino. C'è stato quel 1° luglio del 1978, lo stadio "Celeste", quasi 20mila persone sotto il palco. E ora Edoardo Bennato a Messina ci torna, sabato in piazza Duomo, per il cartellone dell'Amministrazione comunale (organizzatore Carmelo Costa). Ancora Bennato, ancora Messina. Che non dimentica, tu come la ricordi? «Se non mi sbaglio lo stadio Celeste è nel quartiere Gazzi, faceva un gran caldo... quelli erano “anni caldi” per tutta l'Italia! Ricordo, fu un bel concerto, molto one man band. Quello del prossimo 18 dicembre sarà molto, ma molto meglio!». Finalmente la musica che scende dai balconi e torna in piazza. «È la vita che non si può fermare»... «Lo dice il titolo della canzone di cui è stata ricordata una strofa: “La realtà non può essere questa”. Non possiamo non sperare che la situazione pandemica migliori fino al completo ritorno alla normalità. Che ci sia un day after. Probabilmente bisognerà ancora lottare, stare attenti a non fare passi falsi, ma alla fine ne usciremo!». Come "suona" questo Sud che ci accomuna? «Da uomo del Sud dico che, in quanto a musica, non ci batte nessuno. Anche se mi piacerebbe che avessimo qualche primato anche in altri campi, ad esempio nell'attenzione ai nostri territori, a valorizzare al meglio la nostra cultura, ad evitare la commiserazione e prendere nelle nostre mani il nostro futuro, facendo in modo che non siano altri a decidere per il Sud. Al buon inteditor...». La musica per voi Bennato è una questione di famiglia, di sangue... «È stata mia madre a decidere che noi tre fratelli non oziassimo, nelle afose estati a Bagnoli, quando la scuola era chiusa per le vacanze. In realtà, per tenerci occupati andò in cerca di un maestro di lingue, non lo trovò, ne trovò uno di musica. Così mi ritrovai tra le mani, come primo strumento, una fisarmonica che passai subito a mio fratello Eugenio, io preferivo la chitarra mentre Giorgio, l'altro mio fratello, suonava il banjo e le congas: così nacque il “trio Bennato”. Suonammo nei circoli e teatri di Napoli, anche in alcune trasmissioni della Rai, arrivammo a suonare in Venezuela e sarebbe potuto continuare ancora ma... per i nostri genitori, la scuola veniva prima di tutto!». L'ironia è l'unica chiave di scrittura, oltre che di lettura? «Per quanto mi riguarda senza dubbio. Una chiave che mi permetto di usare perché ironizzo anche su me stesso, come cerco di dire in una “canzonetta”, “Cantautore”, che è all'interno dell'album “La Torre di Babele”». Quello che oggi ci passa per le orecchie? “Sono solo canzonette”? «Esiste la musica cosiddetta “leggera”, ha un suo compito e lo svolge al meglio: cercare di distrarre, di far evadere dalle storture della umana esistenza. Poi c'è la musica rock che si nutre dei paradossi, delle insoddisfazioni, delle contraddizioni che sono intorno a noi. Può essere un po' scomoda, ma per me è più divertente!». Messina ti aspetta, cosa l'aspetta? «Un concerto ad alto contenuto Rock&Blues!»