Anche nel Messinese luccicano piccoli “scrigni” che si sono guadagnati la vetrina dell’autonomia al termine di lunghe battaglie. E se oggi la mappa della Città metropolitana conta 108 Comuni, ciò è frutto della storia. Quella stessa storia che tra qualche decennio potrebbe disegnare nuovi confini territoriali.
Se il sindaco di Roccafiorita Concetto Orlando, quasi con amara rassegnazione, afferma che è impossibile arrestare il fenomeno dello spopolamento, come fosse un’evoluzione naturale incontrollabile o comunque solo procrastinabile, e se il “collega” di Antillo delinea addirittura un orizzonte temporale («30 anni»), oltre il quale del suo e di altri piccoli centri non vi sarà più traccia, allora appaiono necessarie urgenti terapie d’urto. Per certi versi, ancora più paradossale è quanto si registra in quel di Montagnareale, dove il capo dell’Amministrazione, Salvatore Sidoti, ammette che la sua comunità ha praticamente tutto: dalle scuole all’ufficio postale, passando per le attività ricettive e commerciali, i servizi, gli impianti sportivi, la vicinanza con l’autostrada e la “grande” Patti. Eppure, in questo paese di 1400 anime manca progressivamente un elemento chiave: l’insieme delle persone, degli uomini e delle donne. Più precisamente, si assottiglia il numero dei nuovi nati, dei bambini. E se per ogni dieci anziani che si spengono vengono alla luce soltanto tre bebè, il gap risulta incolmabile. Al giorno d’oggi, quindi, si fanno sempre meno figli, e nei piccoli centri l’assenza di ricambio generazionale si paga a caro prezzo più che altrove, con il rischio della scomparsa di intere borgate, se non di tutto il paese. In cima alla “lista peloritana” si colloca Roccafiorita, il comune più piccolo dell’intera Sicilia, con appena 173 residenti “protetti” da quel Monte Kalfa meta di tanti visitatori. Con gli attuali chiari di luna, il suo “svuotamento” potrebbe risultare davvero irrefrenabile, passando a quota 163, 153 o addirittura a una trentina di abitanti tra chissà quanto, alla stessa stregua di Morterone, in Lombardia. Ecco, quindi, per dirla con il sindaco di Librizzi, Renato Di Blasi, che se il Governo nazionale e quello regionale volessero davvero porre un argine al fenomeno dovrebbero elargire contributi mirati e non a pioggia, concretizzare il disegno di legge delle Zone franche montane, far rientrare tra i beneficiari di determinate risorse chi ne ha titolo, ossia proprio le località disagiate. E tra queste ultime soffrono più di altre quelle che non hanno pure uno sfogo sul mare. Vedi Cesarò, relegata ai margini della provincia messinese e penalizzata oltremodo dalla collocazione geografica. Discorso opposto per Rometta e Venetico, che riescono a tenere botta grazie alle frazioni sulla costa tirrenica, interessate da crescenti migrazioni dai nuclei storici, ubicati in collina e più difficilmente raggiungibili. Un altro fattore di assoluto rilievo coincide con il sistema viario e trasportistico. Se le strade cadono a pezzi e s’inginocchiano ai frequenti dissesti idrogeologici, se i mezzi pubblici collegano a singhiozzo oppure non collegano affatto i paesi più sperduti, la sfida è persa in partenza. In un quadro a tinte così fosche, dove si potrebbe vedere un po’ di luce? Una speranza porta all’accoglienza di nuovi residenti di nazionalità straniera. Proprio come sta avvenendo a Librizzi, dove è in crescita una folta comunità proveniente dall’Europa dell’Est. Qualche estate fa, un vacanziere è rimasto incantato dal paesino, è tornato, ha comprato casa e poi ha messo radici. Lo hanno imitato altri connazionali, che hanno raggiunto il territorio amministrato da Di Blasi con le loro automobili. Oggi, alcune sono parcheggiate nelle viuzze del centro storico librizzese. La targa reca la sigla “CZ”. Il primo pensiero va a Catanzaro, ma le lettere identificano altro: Czech Republic.
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