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Scontri, bluff, azzardi: la partita di Cateno De Luca a Messina

Cateno De Luca

Il filo rosso che ha attraversato questi tre anni e mezzo di sindacatura lo ha descritto alla perfezione lo stesso Cateno De Luca, nella lettera d’addio indirizzata a tutta la “galassia” Palazzo Zanca: «Abbiamo reagito, alzando il livello dello scontro». Una sintesi che racchiude ognuna delle tante fasi che hanno caratterizzato l’ennesimo mandato monco della storia recente di Messina. Il livello dello scontro alzato costantemente, il senso del limite rivisto periodicamente, il confine spostato un po’ più in là ogni volta che si pensava fosse stato raggiunto. «Messina è una città strana», ha detto De Luca nella sua ultima conferenza stampa da sindaco, riferendosi all’imprevedibilità delle scelte politiche fatte di volta in volta nel rassicurante segreto dell’urna. Ed è vero. Una città che nel giro di una quindicina d’anni passa da Genovese a Buzzanca, da Accorinti a De Luca, regala più imprevisti che probabilità, in un immaginario tabellone del Monopoli in cui ogni casella può aprire scenari inediti. De Luca questo lo ha capito molto prima di scendere in campo, a fine 2017: sa che, ponendola su un piano di mero calcolo politico, un anno in più in sella non è detto che si tramuti in maggiori certezze elettorali. Anzi. Per questo l’ennesimo rilancio della sua perenne partita a poker rischia di essere il meno ardito degli azzardi fin qui osati. È un azzardo per la città, ovvio, che già da stamattina si ritroverà senza nessun rappresentante politico con la fascia tricolore addosso (per la prima volta nemmeno il vicesindaco); una città che continua a vivere in una surreale alternanza tra sindaci e commissari, rendendo un’utopia la tanto evocata “continuità amministrativa”, che tutti ritengono indispensabile, ma nessuno riesce a concretizzare. È un azzardo, perché, anche pochi mesi di “ordinaria amministrazione”, almeno sulla carta, sono tanti per una città come Messina, e perché alla fine di questa ennesima giostra potrebbe doversi ricominciare tutto da capo.
Per De Luca l’azzardo è meno… azzardato, perché oggi il suo spazio da protagonista ce l’ha, domani non si sa. Oggi il suo nome è un fantasma che aleggia sulle elezioni regionali, generando più pensieri e grattacapi di quanto i grandi manovratori palermitani siano disposti ad ammettere, domani no, non lo sarebbe. Oggi ha più carte in mano, insomma, e per un giocatore di poker come lui non solo non è poco. È tutto. Cateno De Luca ha giocato al rialzo per tutti questi anni. Lo ha fatto col consiglio comunale, lo ha fatto bluffando più volte sulle sue dimissioni, lo ha fatto persino alla roulette russa del Piano di riequilibrio, spingendosi più in là di quanto un qualsiasi altro giocatore avrebbe fatto, finendo per ottenere un salvifico aiuto al fotofinish (succede anche questo, ai giocatori incalliti). Si è giocato, a modo suo, tutte le carte che la cronaca gli ha di volta in volta messo in mano, persino quelle teoricamente più disgraziate, dal suo arresto alla pandemia (qui ha toccato il picco di popolarità), fino all’assoluzione per il caso Fenapi. E ha, in ognuna di queste occasioni, «alzato il livello dello scontro». Sempre e comunque. Anche quando non necessario. Anche quando non opportuno. L’improperio e l’insulto definitivamente sdoganati e assurti a quotidiano linguaggio politico, l’ossessiva ricerca di un nemico eletta a prioritaria strategia comunicativa.
Al punto da tale da rendere impossibile separare il giudizio su De Luca amministratore da tutto il resto, il giudizio su “cosa” ha fatto dal “come” lo ha fatto. La forma è sostanza: chi decide di assumere l’onore e l’onere di guidare una comunità e rappresentarla accetta una responsabilità totale e totalizzante, il sindaco diventa anche modello, esempio, punto di riferimento. De Luca ha deciso di rifarsi ad una versione “da cinepanettone” del più classico modello machiavellico, ma non tutti i mezzi possono essere giustificati dal fine, specie in un’epoca in cui un minuto sui social ha l’effetto di una slavina su una pista da sci. Il sindaco lo ha fatto scientemente, ha scelto una strada e l’ha percorsa così ogni giorno. Tra scontri e bluff, fino alla fine e anche oltre. Chissà che anche la scelta del suo candidato successore, infatti, non si riveli l’ennesima carta truccata di questa lunga partita. La sensazione è che il gioco d’azzardo non sia ancora finito.

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