Ci ha colpito laddove stavamo venendo sempre meno, nel contatto umano, sostituito sempre più dalla distanza virtuale di smartphone, chat e social. Ci ha costretto e ci costringe in casa da giorni, obbligandoci a cose che amiamo ma alle quali spesso rinunciamo per sottostare ad altre delle quali diventiamo volontariamente schiavi, a ritmi e balzi ai quali ci siamo abituati per consuetudine più che per necessità. Ci ha costretto a rivedere i sistemi sanitari di mezzo mondo, rifocillare economie da tempo immemore basate sul lucro riscrivendole con aiuti orientati non più alle banche, alle aziende o agli indici di salute finanziaria, bensì alla sussistenza in vita di questi apparati come specchio rifletta riflesso della salvaguardia della specie. Dovremmo dire per questo grazie al mostro che porta il nome di coronavirus? No di certo, perché cozzerebbe inevitabilmente con la raffica di morti che sta provocando a macchia di leopardo ma anche a macchia d'olio. Capire fino in fondo cosa sta accadendo, dentro e fuori la cornice, è uno sforzo al quale tutti siamo obbligati, raccogliendo quanto più possibile il senso dell'inerzia che siamo rispetto a un batterio invisibile che sta segando tutto ciò che piccoli e grandi della Terra hanno costruito giorno dopo giorno, spesso mettendo in secondo piano valori e rapporti per dare precedenza a guadagni e arricchimento. Tutto o quasi da rifare, cerotti da mettere ovunque, ferite da leccare. Un nemico che non vediamo col quale fare i conti, una guerra che non pone di fronte sunniti e sciiti, cristiani e musulmani, curdi e turchi, arabi e israeliani, bianchi e neri, ma un pianeta fatto di contraddizioni e divisioni che si unisce per superare una delle più grandi pandemie di sempre. Obbligato per forza di cose ad armarsi sotto la stessa bandiera. Al fronte non si va con carrarmati e mine, ma con camice e mascherina. Nelle stanze delle unità ospedaliere, nelle Terapie intensive in prima linea. Negli isolamenti volontari, nel rispetto di norme comportamentali che ribaltano i cicli frenetici ai quali eravamo abituati. Nel rispetto dell'altro. Una sfida alla quale l'Italia, paradossalmente rispetto alle etichette di mela marcia che spesso si porta appresso, ha saputo rispondere presente con compostezza e approccio solidale, al netto delle inevitabili eccezioni che purtroppo hanno avuto in quota parte una incidenza negativa. L'Italia, che improvvisando e a volte sbagliando ha trovato e sta trovando soluzioni, oggi è un modello da seguire perlomeno in quella Europa che fino a qualche giorno fa quasi ci scherniva. Un merito collettivo che va soprattutto attribuito alla grande abnegazione di medici, infermieri, sanitari, alla scienza che continua nella disperata ricerca di antidoti a questa brutta malattia che sta mettendo tutti in ginocchio, senza distinzioni, obbligando l'universo a riscriversi per l'ennesima volta. Ci siamo dentro e non è facile pronosticare cosa accadrà. Sicuramente quando tutto sarà finito, bisognerà imparare la lezione, se in qualche modo si vuole cogliere l'occasione di fare resilienza. Dando un significato nuovo ai concetti di distanza sociale, solidarietà, pace ma soprattutto libertà. Un dono assoluto.